MR. BIG Matt Starr

Steve Rosen 26 apr 2019
Dopo essere stato impegnato con i Mr. Big durante il loro The Stories We Could Tell Tour a cavallo tra il 2014 e il 2015, Matt Starr è entrato in studio con la band a registrare il nuovo Defying Gravity uscito lo scorso luglio…

Con sua grandissima felicità e sorpresa, Matt Starr è stato chiamato in studio dai Mr. Big per le registrazioni di Defying Gravity e dare una mano a Pat Torpey che, dal 2014, convive con la sindrome di Parkinson.
Starr suona da tempo in tour con la band celebre band californiana, ma questa volta si è trattato di essere parte attiva delle registrazioni, elaborando con Torpey la direzione da consegnare al drumming in ogni album della tracklist.

“Dentro di me ho pensato: ‘hey, quanto pagherebbe un musicista per registrare con i Mr. Big ed avere Pat Torpey come produttore?” – ha detto Starr – “Essere parte di questo album è stato un onore incredibile. Quando una band ti chiama per registrare è sempre qualcosa di speciale, ma con i Mr. Big, che hanno 30 anni di storia alle spalle, è stato unico. Lo stesso Pat ha creduto ...
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info intervista

MR. BIG
MATT STARR
Defying Gravity
che io fossi la persona giusta da chiamare, e per me si è trasformata in un’esperienza irripetibile…”

Con Matt Starr abbiamo parlato delle sessioni di registrazione di Defying Gravity, di come ha ottenuto i suoni, delle sue principali influenze e del world tour dei Mr. Big che raggiungeranno la Penisola tra pochi mesi…

MR. BIG lineup: Paul Gilbert (guitar, backing vocals) – Billy Sheehan (bass, backing vocals,) – Pat Torpey (drums) – Matt Starr (drums) – Eric Martin (vocals)

Precedentemente eri già stato in tour con i Mr. Big, ma Defying Gravity è il primo album che hai registrato con la band. Come è andata?
Nella mia vita sono stato incredibilmente fortunato, ed ho avuto modo di registrare con molti artisti per i quali avevo già suonato dal vivo. Molti miei colleghi suonano dal vivo con tantissime band e artisti, ma pochi di loro vengono chiamati per le registrazioni di un album. Ho avuto modo di suonare su ben due album di Ace Frehley, ma con i Mr. Big era la prima volta, e credo sia un’ottima testimonianza di quello che pensano di me.

Pare proprio il complimento migliore.
Esatto, ed è una cosa stupenda, perché suonare in studio di registrazione e sul palco sono due cose molto diverse.

Parlaci un po’ di come sono andate le sessioni di registrazione per Defying Gravity.
Non avevo assolutamente idea di quello che avremmo dovuto fare, perché non avevo ascoltato alcuna bozza. Sapevo sarebbe stato qualcosa a la Mr. Big, ed ero abbastanza tranquillo perché conoscevo bene il loro repertorio.

Non hai potuto ascoltare il materiale in pre-produzione?
Quando sono entrato in studio non avevo assolutamente idea di cosa avrei dovuto suonare. Abbiamo registrato undici tracce in sei giorni, Eric Martin ci ha fatto ascoltare ogni brano con la chitarra acustica quando eravamo già in studio, e da lì si abbiamo iniziato a definire cosa registrare.

Ciò significa che ti sei trovato ad arrangiare i brani direttamente in studio di registrazione?
Mentre Paul e Billy cercavano di definire le loro parti sugli accordi dati da Eric, io tamburellavo sulle mie gambe cercando di dare corpo a ciò che avrei dovuto suonare. Pat Torpey ha ascoltato tutte le loro idee insieme a me, e successivamente è intervenuto con alcune modifiche. Io e Pat abbiamo ascoltato e dato corpo alle batterie come una squadra. Ci siamo dati continuamente consigli, e abbiamo discusso ogni particolare dei brani. A volte è servito suonare i brani più volte prima di arrivare a ciò che è andato a finire sull’album in maniera definitiva.

Sei giorni per un intero album non sono molti…
Questo è il modo in cui abbiamo registrato anche con Ace Frehley. Ace mi suonava i brani e io mi adattavo alle sue idee di traccia in traccia, imparando tutto sul momento. Questo approccio ti mette sotto pressione in una maniera che trovo molto produttiva.

Cercare di arrangiare le tue parti, e non “semplicemente” di suonare ciò che ti viene richiesto, crea non poca pressione.
Per quanto mi riguarda come batterista la mia priorità è quella di capire le debolezze degli accordi così da poter supportare al meglio i momenti più carenti dell’arrangiamento. Successivamente mi interrogo sul come potermi muovere attraverso tutto il brano per poter unire le varie sezioni inizialmente pensate singolarmente. La domanda generale riguarda sempre il modo in cui creare l’identità del brano. La sfida che mi pongo sempre è quella di rendere il brano riconoscibile anche soltanto dalla traccia di batteria, e la difficoltà principale è l’avere a disposizione circa venti minuti per farlo.

Sembra qualcosa di incredibilmente difficile, soprattutto pensando che in un mondo ideale si vorrebbe avere mesi e mesi per poter provare i brani e rifinirli al meglio…
Onestamente credo che tre settimane sia il mio tempo ideale in studio. Amo le fasi di registrazione perché non soltanto puoi suonare e dare il meglio di te, ma nel bel mezzo di un ascolto nella control room puoi anche fermare tutto e andare a pranzo con i tuoi colleghi e amici, con gli ingegneri e i tecnici. Devo dire che quella del socializzare con la crew è una parte del lavoro in studio che mi piace moltissimo.

Sembra più una cosa “umana” piuttosto che legata alla musica.
Assolutamente. C’è da dire che se avessimo avuto più tempo anche con i Mr. Big sarebbe stata un’ottima cosa. Ma la realtà è che per un album di rock ‘n’ roll non è sempre necessario avere troppo tempo a disposizioni. Una volta registrati i pezzi, è molto meglio partire per un tour e portare i brani dal vivo. E questo è un processo bellissimo perché i brani prendono una nuova piega quando approdano sul palcoscenico. Inoltre credo che alle volte avere più tempo possa rivelarsi come un modo per non concentrarsi a sufficienza sulle cose che contano davvero.

Kevin Elson ha prodotto molti dei primi album dei Mr. Big, ed è tornato a lavorare con voi per Defying Gravity. Com’è stato lavorare con lui?
Ciò che ho capito lavorando con alcuni incredibili produttori, è che anche se può sembrare che non facciano altro che aggiungere qualche giudizio o darti una pacca sulla spalla, il loro lavoro è fondamentale per rendere i brani così come la gente li ascolterà grazie all’album. Basta semplicemente un suggerimento, oppure una piccola modifica, ed il brano prende un’altra forma. Kevin è stato l’ago della bilancia nel momento in cui si è presentata qualche scelta difficile, ma la cosa fondamentale è che pur esprimendo la sua opinione ha sempre lasciato che la band risolvesse i problemi in maniera naturale. Nei Mr. Big il talento non manca di certo, e pertanto Kevin non ha avuto bisogno di essere un produttore onnipresente, Paul ha una comprensione della struttura degli accordi incredibile e pertanto avrebbe potuto cavarsela bene anche in fase di produzione. Fortunatamente Kevin è stato l’uomo giusto per questo lavoro.

Come tutti sanno, con i Mr. Big hai suonato molto negli ultimi anni, e pertanto hai detto di esserti sentito pronto nel momento in cui sei stato chiamato a registrare con la band. Hai dovuto comunque adattare il tuo stile alle richieste artistiche del gruppo?
Ottima domanda. Non è stato un processo così complicato come lo si potrebbe pensare, questo perché ci sono sicuramente molti aspetti del mio playing che anche Pat condivide. Tutti e due veniamo dalla scuola di Bonham e Mitch Mitchell, e quel piano comune ha permesso alle differenze di farsi notare di meno. Ciò che mi distacca da Pat è fondamentalmente l’approccio al playing, Pat è uno che tende a tirare in avanti, mentre io sono più per ciò che faceva anche Bonham, ovvero tirare un po’ indietro ritardando l’arrivo del battere. Ma la realtà è che non si può suonare in questo modo su un album dei Mr. Big, lo stile di Pat è qualcosa di fondamentale, soprattutto se Billy e Paul stanno suonando dei sedicesimi o dei trentaduesimi. Questa è una di quelle cose di cui ero cosciente fin da prima di entrare in studio di registrazione.

Gli accenti sono una cosa fondamentale nel drumming dei Mr. Big…
Esatto. L’altra cosa molto importante è ricordarsi che solitamente c’è molto spazio per poter inserire qualcosa di nuovo. Se avessi voluto suonare delle parti poco ortodosse rispetto a ciò che Pat aveva fatto in passato avrei potuto farlo comodamente, ed avere questo tipo di libertà è fantastico. Una delle caratteristiche di Pat è però il riuscire a togliere quanto più possibile e rendere comunque musicale la sua parte. Probabilmente con un altro gruppo non funzionerebbe allo stesso modo.

Quindi ti sei trovato a dover adottare quanto più possibile lo stile di Pat?
Ho parlato con lui e gli ho chiesto come volesse che io suonassi. Mi ha risposto semplicemente dicendomi di aspettare di vedere cosa poteva succedere. Io ho messo le braccia al servizio di un pensiero che ho sempre condiviso e discusso con lui.

Ma sei stato tu a suonare su tutti i brani…
Se con questo intendi dire che ero io a sedere fisicamente dietro la batteria, la risposta è sì. Ma la realtà è che non ho suonato nulla che non fosse condiviso anche da Pat, è stato tutto molto interessante perché solitamente quando si registra si incide qualche traccia e poi ci si ferma per ascoltare, ma questa volta io avevo Pat in continuo ascolto e sempre pronto a suggerire qualche modifica o a confermare ciò che di buono anche io avevo sentito. Dentro di me ho pensato “Questa è davvero un’occasione eccezionale”. Immaginate di assumere Pat Torpey perché vi ascolti mentre registrate le vostre tracce di batteria… incredibile! Ci sono stati dei momenti, quando ancora provavamo per il tour, in cui Pat si preoccupava dei troppi input che mi stava dando, ma anche in quel caso la mia risposta era soltanto una: “Amico… quanto pensi pagherebbe la gente per avere Pat Torpey vicino, per dare i suoi migliori consigli?”.

Suonare con Billy Sheehan deve essere stata una grande esperienza, non soltanto per il modo in cui approccia lo strumento, ma anche per il suono semi-distorto che lo ha reso celebre. Hai dovuto approcciare il tuo strumento in maniera diversa per cooperare al meglio con Billy?
Altra bella domanda. Solitamente suono con una cassa da 26”, ma per questo album ne ho utilizzata una da 24”. Ne ho discusso con Pat e con i nostri tecnici, e tutti mi hanno confermato che con Billy sarebbe stato difficile far suonare bene una cassa troppo grande. Questo riporta a quel suono preciso e coeso che caratterizza i vecchi dischi della band. Inoltre, come ti ho già detto, io sono solito accordare la mia batteria più bassa di quanto io non abbia fatto con i Mr. Big, ma con loro ci sono già molte informazioni musicali da dover far coesistere, così ho deciso di accordare diversamente il mio kit per una risposta più immediata.

Ci parli del kit che hai utilizzato per Defying Gravity?
Ho una nuova Ludwig Legacy con fusti in acero a triplo strato. I tom che ho usato sono da 14”, 18” e 20”, quest’ultimo è in realtà un tom da terra del 1960 che ho comprato a San Francisco quando stavo registrando Space Invader con Ace Frehley. Un tamburo molto interessante… soprattutto grazie alla sua costruzione in mogano. La cassa da 24” è invece del 1970, che ho dovuto noleggiare presso Studio Instrument Rentals perché nel mio arsenale non ho mai avuto una “24 (un vero sacrilegio, lo so!). Per quanto riguarda i rullanti ho usato il mio Ludwig Black Beauty da 6.5”x14” con cerchi die cast, al quale ho applicato la mia cordiera Canopus 42 fili: la adoro! L’altro rullante invece è sempre un 6.5” Ludwig Supraphonic, anch’esso con cerchi die cast e cordiera 42 fili. Su entrambi i rullanti ho utilizzato pelli Evans Heavyweight.

Per quanto riguarda i piatti invece?
Paiste 2002 su tutto il kit. Hi Hat 15” Sound Edge ed una coppia di Power Crash da 20”. Il mio ride era solitamente un 2002 Ride da 24” oppure un 2002 Crash da 22”. Alle volte, in base al brano da registrare, abbiamo sostituito il Power Crash da 20” con dei 2002 Mediums da 18”. In aggiunta avevo con me anche un 2002 da 22” del 1976.

Ormai suoni da molto tempo, ed hai registrato moltissimi album. Trovare il giusto suono rappresenta ancora un’operazione complessa e lunga?
No, non direi. Il tipo di kit che utilizzo, e le sue dimensioni, rendono la fase di accordatura molto più veloce di quanto non si possa pensare. Quello che cerco ogni volta è un suono aperto e imponente, che però è anche la caratteristica naturale della batteria che utilizzo, quindi tutto dipende soprattutto dal modo in cui suono. In generale se il kit è buono e la microfonazione è fatta in maniera consona, è tutto nelle mani del batterista.

Hai parlato del tuo approccio influenzato da John Bonham e Mitch Mitchell, ma hai ascoltato anche molto Jerry Shirley degli Humble Pie e Simon Kirke dei Free, giusto?
Adoro Jerry Shirley, la sezione ritmica degli Humble Pie con Greg Ridley è meravigliosa. Al mio orecchio hanno sempre suonato come un carrarmato che cerca di uscire dal fango, hanno sempre avuto quell’attitudine e quel piglio da duri! Il rock che preferisco è quello degli anni ’70, quindi ovviamente i Free, gli Humble Pie, i Grand Funk Railroad, e i Mountain. Musicisti come Don Brewer, Simon Kirke, Jerry Shirley… ma anche Mick Tucker degli Sweet, oppure Neal Smith (Alice Cooper). Negli anni ’70 c’è stata davvero tantissima musica interessante, uscivamo dalla British Wave e si aprivano le porte dei concerti negli stadi… Sono un po’ più giovane di chi è cresciuto in quel periodo, ma abbiamo gli stessi gusti.

Cosa possiamo aspettarci dall’imminente tour dei Mr. Big?
Questa volta sarà un tour mondiale. Abbiamo appena concluso un mese negli States, saremo per due settimane in Sud America e a settembre partiremo per il Giappone. Poi andremo da Tokyo a Londra e in molte delle città nel mezzo. Poi probabilmente saremo di nuovo negli Stati Uniti nel 2018, ed è fantastico perché è la prima volta che suoniamo negli USA per più di qualche data, molte persone non erano riuscite a vedere la band dal vivo dal 1992. Ci sono molti fan che vogliamo raggiungere, e così speriamo di riuscire a coprire il maggior numero di stati e città.



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