Alessandro Deidda

Susy Marinelli 04 nov 2019
Dopo cinque anni di break volontario, Le Vibrazioni sono tornati con più grinta ed energia di prima segnando il loro riaffacciarsi sulle scene con la partecipazione allo scorso Festival di Sanremo e con la pubblicazione di V, il semplice titolo del loro quinto album…

Portando Così Sbagliato sulle tavole del palcoscenico dell’Ariston, con questo pezzo Le Vibrazioni hanno dimostrato tutta la voglia di (ri)proporre il loro pop/rock di ficcante e raffinato: un intento testimoniato altresì dall’album che hanno semplicemente titolato V, pubblicato lo scorso febbraio.

Produzione di Davide Tagliapietra e Luca Chiaravalli, V (uscito per L’Equilibrista) è un album che chiama a sé 10 tracce dal songwriting accurato ed altrettanta accurata esecuzione delle parti, consegnando una band in grande spolvero e dimostrando, ancora una volta, i motivi per cui la band milanese si è guadagnata negli anni il rispetto e la stima di addetti ai lavori ed appassionati del cosiddetto rock colto.
Presenti nell’album Francesco Sarcina impegnato a voce, chitarra e theremin, Stefano Verderi alla chitarra, sitar e tastiere, Marco Castellani al basso (rientrato al posto di Emanuele Gardossi, con la band nel periodo 2008/2012) ed Alessandro Deidda dietro i tamburi. Un album a cui la band ha lavorato ...
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info intervista

Le Vibrazioni
Alessandro Deidda
V
con passione, energia e maggiore consapevolezza.

Della band, del nuovo album e tour, abbiamo parlato con Alessandro Deidda (Milano, 11 gennaio 1976), batterista in possesso di un drumming solido e puntuale, messo sempre al servizio della musica.


FORSE NON TUTTI SANNO CHE…

Le Vibrazioni (omonimo album di esordio del 2003) vende 300.000 copie – Le Vibrazioni II (del 2005) diventa disco di platino.

Con Officine Meccaniche (2006), la band si dirige verso lidi più propriamente rock: direzione intrapresa anche dal successivo Le Strade del Tempo (2010).

La carriera de Le Vibrazioni viene scandita dalla acclamata partecipazione a straordinari eventi live, tra cui Cornetto Free Music (2003), Heineken Jammin’ Festival (2005) e Primo Maggio a Roma (2005) e opener degli show di AC/DC e Deep Purple.

Brani de Le Vibrazioni appaiono al cinema; precisamente, nelle colonne sonore dei film Tre Metri Sopra il Cielo con Riccardo Scamarcio, Eccezziunale Veramente, Capitolo Secondo... Me con Diego Abatantuono e Colpo d’Occhio di Sergio Rubini.

Alessandro Deidda ha militato in una tribute band dei Led Zeppelin e preso parte ai tour de Il Genio e di Pete Ross in Francia.


Le Vibrazioni lineup
Francesco Sarcina (voce/chitarra/theremin) – Stefano Verderi (chitarra/tastiere) – Marco Castellani (basso) – Alessandro Deidda (batteria)
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Ciao Alessandro, partiamo subito con V: un album sofferto o piuttosto il risultato di un processo naturale della band?
Abbiamo suddiviso il lavoro in due fasi: la prima creativa e la seconda propriamente dedicata alla produzione dei brani in studio. Tutti i brani che compongono il disco hanno sortito su di noi un certo tipo di impatto, ma sofferenza a livello artistico no, quella non c’è stata. Dopo i 5 anni di stop che ci siamo presi, durante i quali ciascuno ha fatto le sue cose, ci siamo mossi con il vecchio metodo… roba vintage, insomma. Ci siamo messi in cerchio e via via abbiamo suonato i vari brani, come facevamo i gruppi una volta.

Un metodo vintage, proprio come lo chiami tu, in una epoca tecnologica fatta di audio file che vanno e vengono da una parte all’altra del mondo...
Eh sì… ma noi abbiamo mantenuto il nostro consueto modo di comunicare. Tanta sala prove e poi tutti insieme in studio come si faceva un tempo. Sicuramente le tecnologie odierne ti consegnano grandi agevolazioni… una volta si registrava sul 4 piste e praticamente era tutto un fruscìo in primo piano con la musica in sottofondo in cui dovevi riconoscere la tua parte! [ride] Oggi, appunto non è così. In tutti i casi, come dicevo, V è venuto fuori in maniera diretta e spontanea, a parte una certa ricerca sui suoni. Per quanto mi riguarda, io lo chiamerei un “new old album” nel senso che non ci sono parti di batteria complesse, anche perché io non ho mai ricercato la complessità, dall’impatto sonoro granitico sotto tutti i punti di vista.

In studio c’è stato un brano che ti ha procurato qualche difficoltà?
Direi che Vorrei una Macchina del Tempo è stato il meno facile, ma soltanto perché è più fast, più english, moderno: con i suoi sedicesimi a 144 bpm è stato abbastanza tosto da eseguire. Ci aggiungerei anche In Orbita, il brano più libertino a livello batteristico e più prog a livello di struttura e di stacchi. In linea generale, però, mi sono trovato a mio agio nell’esecuzione di tutta la tracklist.

Hai proposito del prog rock a cui hai accennato, c’è qualche batterista di questo ambito a cui hai fatto riferimento durante la tua formazione?
Prendendo il discorso alla larga, ti dico che ho avuto la fortuna di crescere con un padre appassionato di rock. Quando ero giovanissimo io ascoltavo i Motley Crue, mentre in casa, grazie appunto a mio padre, circolavano King Crimson, ELP, Genesis, Yes, nonché PFM, Le Orme, Area... Certo, per me che allora ero un ragazzino queste band risultavano più ostiche all’ascolto ma poi con gli anni sono maturato. Sicuramente Bill Bruford è imbattibile nel prog e non credo sia possibile non citarlo. Riguardo al suo modo di suonare, so di non avere nemmeno il suo mignolo del piede, ma l’ho sempre ascoltato ed apprezzato moltissimo. Inoltre, penso che Phil Collins sia uno dei batteristi più sottovalutati del rock, uno dei primi 5 batteristi del mondo! Poi devo citare Pat Mastellotto, che ho avuto il piacere di conoscere di persona: lui è davvero un innovatore della batteria, senza nulla togliere agli italiani… massimo rispetto per Franz DiCioccio, ad esempio!

Riguardo al cosiddetto hard rock, chi ti ha influenzato?
Nel 1989 vidi la batteria di Tommy Lee dei Motley Crue che girava sulla pedana montata sul palco. Avevo una decina anni allora e ricordo che pensai ad alta voce: “la voglio anch'io!” Poi c'è stata tutta la musica degli anni Novanta, pur se non sono mai stato un invasato dei singoli musicisti ma delle band vere e proprie, come i già citati Motley Crue, per esempio. Come batteristi mi piacevano molto Dave Abbruzzese (Pearl Jam) e Chad Smith (Red Hot Chili Peppers) per la loro vitalità. Come dicono tutti, anch’io cito John Bonham, il riferimento assoluto, e ci aggiungo Ringo Starr, Keith Moon (The Who), Phil Collins, Nick Mason (Pink Floyd), Roger Taylor (Queen)… ovvero, quei batteristi che hanno privilegiato il suono, il groove, il modo di accompagnare un brano, affinché renderlo così come lo conosciamo da sempre.

Non sei un patito del tecnicismo fine a sé stesso ma comunque ti eserciti costantemente dietro i tamburi, è corretto?
Io penso che lo studio vada inteso in maniera individuale. Io studio a tutt’oggi, ma le cose che mi interessano. Non mi sono mai addentrato nello swing, giusto per farti un esempio, ma... mai dire mai! Calcola che nei Novanta io ho lavorato da Mokke’s e all’epoca andava forte il tecnicismo legato a batteristi tipo Deen Castronovo, Simon Phillips, Gregg Bissonette... In generale, come dicevo prima, io ho sempre preferito ascoltare la musica nella sua totalità, ascoltare una band e non solo la tecnica del suo batterista. Questo non toglie che io adori batteristi dalla tecnica esagerata come Ian Paice o di nuovo John Bonham, assieme agli altri di cui dicevo prima…

Nel 2005 avete portato a Sanremo il brano Ovunque Andrò, mentre lo scorso febbraio 2018 ci siete andati con Così Sbagliato: cosa è cambiato questa volta?
Stavolta siamo tornati in modo molto diverso, dopo aver vissuto tante esperienze e, dunque, con una maturità e una consapevolezza diverse. In pratica, la prima volta ci siamo andati da figli, mentre quest’anno siamo tornati da padri. Quello di Sanremo è un palco importante, da non prendere alla leggera, e noi siamo andati per portare il nostro contributo, il nostro sound. Ci siamo presentati con un brano che ci rappresenta: un brano che, con l’accompagnamento dell’orchestra, si è rivelato una cosa bella. Ti dico una cosa? In entrambe le edizioni sono stato orgoglioso di essermi portato su quel palco la cassa da 26”, il Zeppelin Kit di John Bonham, ovvero una parte di me!

Tornando a V per la cui produzione avete fatto a meno di Marco Trentacoste, che ha lavorato con voi spesso, come mai?
E’ vero, con Trentacoste abbiamo lavorato tanto: l’album Officine Meccaniche (2006), il disco live e quello di inediti del 2010. Riguardo a V, invece, ci siamo affidati a Davide Tagliapietra (il figlio di Aldo Tagliapietra de Le Orme), chitarrista di Gianna Nannini, e che ha collaborato con Tiziano Ferro ed altri big e a Luca Chiaravalli, che è anche l’autore del brano di Sanremo insieme a Francesco [Sarcina] Non abbiamo litigato con Trentacoste: semplicemente, per V volevamo confrontarci con altre situazioni, avevamo bisogno di una ventata di freschezza. Francesco, che aveva già lavorato con Tagliapietra da solista, aveva cominciato a lavorare con lui riguardo alla pre-produzione dei nuovi brani ed essendoci sintonia, abbiamo proseguito in quella direzione ed inserito in squadra anche Luca Chiaravalli.

Nel 2008 Marco Castellani ha abbandonato la band, sostituito da Emanuele Cardossi. Essendo tu l’altra parte della sezione ritmica sei stato probabilmente il membro della band più coinvolto da questo cambiamento... è stato così?
Pur se il modo di suonare il basso di Emanuele è completamente diverso da quello di Marco, il cambio del sound generale è stato un fatto piuttosto naturale. Tra l’altro, Emanuele è il primo bassista con cui io ho suonato in una band: infatti, nel 1992, quando io e Francesco [Sarcina] abbiamo messo in piedi la nostra prima band, il nostro bassista era appunto Emanuele e io e lui non abbiamo mai smesso di suonare assieme. Abbiamo militato in una tribute band dei Led Zeppelin, abbiamo fatto varie cose... Lui aveva un approccio diverso dal punto di vista musicale e in quel periodo ci stava di cambiare un po’ il sound… l’impronta sonora andava bene così, con lui. Poi Marco [Castellani] è tornato all’ovile. lo abbiamo dovuto frustare e menare ma, alla fine, ce l’abbiamo fatta a riportarlo ne Le Vibrazioni! [ride]

Continuiamo con le tappe salienti della storia de Le Vibrazioni… Nel 2010 avete aperto per gli AC/DC, a Udine. Cosa ci dici di quella esperienza?
Devo dire che purtroppo, a livello di comunicazione, il binomio Le Vibrazioni e AC/DC non è stato proprio il massimo. Con il senno del poi, possiamo dire che c’è stata una certa ingenuità da parte nostra nel dare per scontato che il pubblico fosse un pelo più disposto ad ascoltare cose differenti. In alcuni festival americani in cartellone ci sono Mary Jane Blige e gli Alice in Chains e non vi sono conflitti di sorta… La musica dovrebbe essere intesa a 360 gradi, mentre al pubblico di Udine il nostro abbinamento agli AC/DC non è andato giù. Non è stato piacevole beccarsi fischi e roba lanciata sul palco. Un comportamento più da stadio che da spettatori di un concerto rock.

Insomma, siete stati vittime di pregiudizi?
Qui succede che chi va a vedere una band in cartellone non dia la giusta attenzione alla band di spalla… Una cosa simile era accaduta anche con Vasco Rossi all’Heineken Jammin’ Festival dove prima di lui si esibivano gli Stereophonics e Alanis Morissette. Anche lì le lattine di coca-cola tirate sul palco non si sono contate, eppure direi che gli Stereophonics non sono esattamente una formazione da buttare via… Pensavo che questi pregiudizi fossero legati all’Italia ma non pensavo ad Udine, che è un posto che si affaccia sull’Europa… probabilmente c’era gente che non sapeva nulla di noi, e magari anche qualcuno che si sarà soffermato su quel che abbiamo proposto, chissà.... Pensa che quella sera ho distrutto la mia batteria. Non è stato un gesto premeditato o una trovata da palco, ma uno sfogo per buttare fuori tutta quella incazzatura. Dicevo a me stesso: “perchè queste persone non utilizzano questa mezz’ora per ascoltare musica piuttosto che per gettare oggetti sul palcoscenico?” Pensa che qualche giorno dopo mi è addirittura arrivata la email di un ragazzo che diceva: “tu hai rotto una batteria costosa perchè puoi permetterlo e non pensi a tutti quelli che uno strumento così non ce lo possono avere...!” Insomma, sono finito cornuto e mazziato, non posso nemmeno permettermi di fare quel che voglio con la mia batteria!

Accetteresti di suonare di nuovo in una situazione del genere?
Non so… forse sì. Noi su quel palco non ci siamo fermati e abbiamo fatto il nostro show nonostante il pubblico remasse contro. In tutti i casi, io ho avuto la mia grande soddisfazione: suonare con alle spalle la batteria di Phil Rudd!

Almeno avete avuto modo di incontrare gli AC/DC e di parlare con loro?
Magari! Pensa che io avevo l’intenzione di farmi fare l’autografo da Phil Rudd... Invece no, loro sono arrivati con le automobili da dietro il palco dieci minuti prima di iniziare lo show. Allo stesso modo se ne sono andati… insomma, non li abbiamo nemmeno incrociati di striscio.

Peccato, una foto di te e Rudd che vi abbracciate sarebbe stata una bella rivalsa per i vostri detrattori di quella serata...
Eh sì… guarda, hai proprio riaperto una ferita! Tra l’altro devo dire che quella volta avevamo come ospite Pino Scotto, che è un amico di famiglia. Lui, peraltro, anni prima mi aveva invitato al Monsters of Rock di Imola e c’erano i Pantera, i Warrant, gli Iron Maiden e i Black Sabbath e, quando prese a esibirsi, gli tirarono addosso sassi, lattine, di tutto... Quella sera con noi, però, abbiamo fatto una cover dei Led Zeppelin ed in quel caso il pubblico aveva applaudito…

Oggi utilizzi Ludwig, ricordi ancora la tua prima batteria?
Assolutamente sì. Quell’anno, alle superiori, ero stato rimandato in due materie e così lavorai al bar presso il Lido di Milano per racimolare i soldi per comperarmi la batteria: una Tama DS identica a quella di Lars Ulrich per il quale all’epoca avevo una fissa. Aveva due casse e... un casino di roba!

Hai degli endorsement?
Sì, collaboro con Aramini ed utilizzo batterie Ludwig, piatti Paiste, bacchette Vic Firth e pelli Remo. Sono soddisfatto… non posso chiedere di più!

Qual è l’elemento da cui non può prescindere il tuo drumkit?
Cassa e rullante. La cassa deve essere almeno una 24” per farmi sentirmi a mio agio ed infatti oggi uso una Ludwig da 26”. Riguardo al rullante, deve essere di metallo ed ecco allora che utilizzo il Ludwig Supraphonic.

Oggi siete impegnati nel tour a supporto di V, come sta andando?
A marzo abbiamo iniziato da Treviso nei club e teatri, che è la dimensione più bella, quella che ti permette il contatto fisico con i tuoi fans; quella in cui possiamo stare tutti “vicini, vicini” come dicono a Striscia! Ora è la volta del calendario estivo e andremo avanti fino a che… non sbattono giù dal palco! [ride]

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LE VIBRAZIONI
V
L’Equilibrista

La band milanese che ha raggiunto il successo grazie a singoli come Dedicato a Te, Una Notte d’Estate, Raggio di Sole, ha sempre avuto un’anima rock. Brani come Per Non Farsi Ingoiare, Seta, L’Inganno del Potere, Malìe e Le Strade del Tempo, sono infatti veri e propri capisaldi del rock italiano degli anni 2000, sia per la raffinatezza degli arrangiamenti che per la capacità di sintesi fra la ricercatezza di alcune soluzioni melodiche e la capacità di comporre brani orecchiabili.

Il quinto album de Le Vibrazioni – semplicemente V – arriva otto anni dopo Le Strade Del Tempo, il disco più sperimentale e introverso del quartetto milanese che dopo quel lavoro ha deciso di prendersi una (lunga) pausa.
Rientrato in formazione Marco Castellani, bassista cui la band deve tanto del proprio sound, Le Vibrazioni propongono questo disco dalle sonorità molto più aperte rispetto all’oscuro predecessore. Un “inno alla vita”, stando alle parole del leader/chitarrista Francesco Sarcina. Un disco che, oltre al singolo Così Sbagliato sbarcato a Sanremo 2018, regala ai fans vere e proprie gemme.
Si pensi allora alla melodia ricercata di In Orbita, il cui riff dal sapore antico, nato un pianoforte cupo e spettrale, si scioglie in un ritornello degno delle grandi melodie italiane degli anni Sessanta; oppure al mellotron dal gusto zeppeliano di Nero con l’intermezzo chitarristico suonato col talkbox… Si pensi quindi a Niente di Speciale e Voglio una Macchina del Tempo, due scariche rock che con suoni vintage, produzione analogica ed un fantastico timbro delle chitarre, costituiscono la ciliegina sulla torta di un riuscitissimo disco di pop rock italiano.

Nicola Vitale
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