Jeff Beck ama i batteristi e i batteristi amano Jeff Beck

Wayne Blanchard 30 mag 2019
Jeff Beck ama i batteristi e i batteristi amano Jeff Beck. La lunga lista di grandiosi musicisti associati all’icona britannica della chitarra è un’indubbia prova di questa realtà. Tutti bramano di unirsi a quel fiume che dilaga in brani come Led Boots, Hammerhead e Savoy, nell’arrembaggio sonoro della sua Stratocaster che – sottomessa in una misura e accarezzata in una sublime escalation melodica in quella successiva – continua ferocemente a sprizzare creatività... anche più di 50 anni dopo il suo debutto sulla scena come rimpiazzo di Eric Clapton negli Yardbirds.

Seppur il pensiero di essere il batterista di Jeff Beck possa essere qualcosa di fantastico, c’è da tenere a mente che quel ruolo significa anche intraprendere una strada ricca di sfide. Essere il batterista di colui che è stato definito “il migliore” da Jimi Hendrix, Jimmy Page, passando per John McLaughlin, George Martin e Paul McCartney, significa essere certi di avere tutte le carte in regola. Jeff Beck ha un’idea molto chiara di quello vuole: (“se un batterista non tira fuori il meglio che ha, la storia finisce lì...” - ha detto a Mojo Magazine – “e prendo a cercarne un altro…”

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info intervista

JEFF BECK
maggio del ‘66, durante i primi exploit con gli Yardbirds, Beck registrò Beck’s Bolero, con l’amico Jimmy Page nelle vesti di produttore e chitarrista ritmico, Nicky Hipkins al piano, John Paul Jones al basso e Keith Moon alla batteria... il suo batterista ideale. Il magniloquente drumming di Moon, guidato dall’incedere del Bolero, garantì al brano la targa di “heaviest record” alla pari di Summertime Blues del 1967 dei Blue Cheer. Non c’era mai stato nel rock qualcosa di paragonabile a quella traccia così epica… o a quella band. Moon disse che come gruppo avrebbero potuto riscuotere un successo enorme, ma quando il management minacciò ripercussioni gravi se avesse lasciato gli Who, l’idea fu abbandonata.

Qualche mese dopo, con la cacciata di Beck dagli Yardbirds, nacque il Jeff Beck Group, con Rod Stewart alla voce. Così, improvvisamente, Beck si trovò a cercare il suo “nuovo Keith Moon”.

Viv Prince (uscito dai Pretty Things), fu il prescelto. Descritto da Page come un hooligan che viveva solo grazie all’alcool, con la sua forza devastante Prince era l’idolo di Keith Moon, e fu per questo che Beck, grazie a un particolare amore per il pericolo, ne rimase impressionato. Accoppiare Prince con Jet Harris (simil-James Dean, ex Shadow, e icona rock dall’ingombrante problema con l’alcolismo), si rivelò però un’idea disastrosa: entrambi furono cacciati di lì a poco.

Ray Cook, batterista che aveva suonato con Beck nei Tridents (band pre-Yardbirds) entrò in squadra. Malgrado una Ludwig nuova di zecca, Cook fu incapace di sopravvivere al disastroso inizio del gruppo. Beck lo licenziò in breve tempo.

Alcuni show radiofonici fissati da qualche tempo, incombevano sulla band, e pertanto Mick Waller (che aveva già suonato con Rod Stewart negli Steampacket) fu arruolato per sopperire alla necessità. Precedentemente con John Mayall nei Bluesbreaker e con Georgie Fame nei Blue Fame, Waller aveva il feeling jazz ed il groove funk, ma non aveva quel tiro pesante che Beck stava cercando. Malgrado ciò, anche Beck fu costretto ad ammettere che Waller era un ottimo batterista, per di più con un gran suono. Anche a fronte di tante incoraggianti dichiarazioni, Waller fu presto rimandato a casa. Per Beck le cose non si mettevano bene.

Red Coombs si dimostrò un ottimo sostituto, ma fu immediatamente sostituito quando Aynsley Dunbar si rese disponibile dopo essere uscito dai Bluesbreakers di John Mayall. Dunbar, che comunque comparve sul secondo singolo solista di Beck, Tallyman/Rock My Plimsoul, e che perse per un soffio la possibilità di suonare con Hendrix, si dileguò velocemente dagli impegni. “Ho suonato con Beck per quattro mesi...” - ha detto in un’intervista rilasciata a Steve Rosen, il celebre giornalista americano - “Era un bastardo! Provaci tu a suonare con una testata Marshall da 100watt che ti spara nelle orecchie!” Dunbar diede il via alla sua band, i Retaliation (e poi i Blue).

WALLER RICARICA IL BLUES
Con Dunbar fuori dalle scene, un Mick Waller reintegrato e Shapes Of Things come singolo di apertura del primo album a nome Jeff Beck Group, lo stesso Waller dietro le pelli e Ronnie Wood al basso si mostrarono la perfetta combinazione per supportare la Marshall di Beck lanciata a tutto volume. Introdussero qualcosa che si dimostrò ben presto molto più di quella che venne troppo semplicemente definita “musica rumorosa”: quello era heavy rock; quello che ispirò molto di ciò che è venuto dopo: dai Led Zeppelin agli Aerosmith, fino ai Guns ‘n’ Roses.
Mick Waller portò il giusto groove alla band in classici come Let Me Love You; ispirò il feeling funk di Rock My Plimsoul (... probabilmente meglio di quello che lo stesso Dunbar avrebbe saputo fare). Brian Auger, tastierista degli Steampacket con Waller (e Rod Stewart) ha detto in proposito: “Micky era in grado di superare le barriere del rock, dell’RnB e del jazz negli anni Sessanta, quando pochissimi altri sapevano farlo!”
Malgrado il successo di Truth (1968) Waller, contrariato dal continuo tumulto all'interno alla formazione, venne licenziato da Beck. Anche Wood fu licenziato (e si riunì con Stewart per brani di grandissimo successo come Maggie May e You Wear It Well.)

NEWMAN PRENDE IL ROCK PER IL COLLO
Esattamente come Waller, Tony Newman era un genio del jazz. Con i Sounds Incorporated, che aprirono per i Beatles allo Shea Stadium (e fornirono i fiati per Got To Ge You Into My Life), Newman era più che abituato a sapersi adattare ad ogni situazione. “Avevo visto Tony con Little Richard..." - ha detto Beck – “e ho pensato: questo tizio è un vero delinquente, ma ha quello che serve. Ho capito subito che era quello che faceva per me… un vero pazzoide…”

“Jeff mi chiese se volevo jammare con lui...” – ha detto Newman – “ma non mi sentii inadeguato fino a quando non vidi Bonzo, Clive Bunker e Carmine Appice: a quel punto, realizzai di avere bisogno di superare le nuove barriere. Quando Bonzo venne a New York per uno show mi suggerì di usare il doppio pedale come Ginger [Baker]...”

Decollando con una versione al fulmicotone di All Shook Up e concludendo con l’epica Rice Pudding, l’album Beck-Ola (1969) spostò i canoni di Beck dal blues/rock all’heavy rock con accenti funk. Con il reintegrato Ronnie Wood al basso e il drumming esplosivo di Newman in Jailhouse Rock, l’album mise il rock' n roll sotto steroidi: complice anche il funk dell’intreccio batteria/chitarra in Plynth, quadrato nello svolgimento del tema ma mai troppo rigido. “Jeff ed io entrammo in un negozio di dischi di Londra...” - ricorda il batterista - “dalle casse fuoriusciva 25 Miles di Edwin Starr. Quello ispirò il funk!”

Newman però non era felice di come andavano le cose: “La nostra paga doveva essere di 125 sterline, diciamo 90, alla settimana. Quindi, quando mi accorsi che in realtà prendevamo 5/7 sterline per ogni serata, iniziai ad istigare una rivolta. Ci rifiutammo di suonare allo Schaefer Festival a metà del ‘69 fino a che non ottenemmo 5000 sterline di compenso. Pagarono la cifra. Considerate le persone per cui lavoravamo, è stata una fortuna che non mi abbiano sparato!”

Un concerto di supporto ai Vanilla Fudge preparò la strada per la mossa successiva di Beck. “I ragazzi degli Zeppelin arrivarono al concerto e così iniziò una jam di quelle senza fine. Nel mezzo ci fu anche un po’ di nudità data da ubriachezza, e così Bonzo fu arrestato…”
Intimoriti dagli inglesi, i Fudge decisero di chiudere la loro storia il giorno successivo, liberando Carmine Appice (batteria) e Tim Bogert (basso) che si dimostrarono subito pronti ad aggiungersi ai piani di Beck. “Tim e Carmine erano pazzeschi...” - ha detto Beck – “due folli con il potere di suonare come se fossero in otto!"

Il giorno prima di prendere il volo per New York ed incontrare i nuovi compagni di band, un incidente automobilistico mise Beck fuori gioco per due anni. Appice e Bogert formarono i Cactus.

ENTRA IN GIOCO POWELL
Una volta rimessosi in sesto, Beck decise di formare una band per dare filo da torcere al nuovo ensemble del suo amico Jimmy Page. Il manager Peter Grant (impegnato anche con i Led Zeppelin), invitò Colin “Cozy” Powell a un’audizione, dove era stata messa a disposizione una Hayman di piccole dimensioni. Beck eliminò i candidati uno dopo l’altro, poi fu il turno di Cozy Powell che mise due casse Ludwig da 26" davanti alla Hayman. Quel ventitreenne sfacciato lo guardava da dietro il kit, ma Beck non parlò fino alla fine del brano di prova. Solo allora abbassò il volume della chitarra: “il lavoro è tuo!” Così dicendo mandò a casa tutti gli altri.

Così come il suo caro amico John Bonham, Cozy Powell era un fan dell’RnB suonato con gran forza, ed il debutto della band – Rough And Ready (1971) – mostrò anche il suo talento per un groove rock iniettato di funk.
Il seguito – The Jeff Beck Group (1972) – prese una strada ancora più soul e funk, con il sincopato di Powell in Ice-Cream Cakes, la “wonderiana” I’ve Got To Have A Song e Going Down, che diventò subito la preferita del pubblico.
Powell e Beck legarono su molti livelli, fra i quali c’era anche una particolare passione per le auto, ma ciò non fermò il Jeff Beck Group dal soccombere alla cronica “voglia di novità” di Jeff.

Nuovamente alla ricerca di un batterista, e con i Cactus ormai disgregati, il momento era giusto per Beck e i due Yankee [Appice e Bogert] di unire le forze.

APPICE AMMUTOLISCE BECK
Ammettendo di essere rimasto senza parole di fronte all’assolo di Appice in Shotgun (dall’album Near The Beginning dei Vanilla Fugde), Beck pensò di aver trovato la sezione ritmica dei suoi sogni. Malgrado ciò l’album Beck, Bogert & Appice (1973) non riuscì appieno nell’intento di avere una scaletta solida; ne venne registrato un seguito che però non fu mai pubblicato. Beck perse presto interesse per il potente boogie del trio, e così dichiarò concluso il capitolo BB&A.

Nello stesso periodo Beck si era innamorato della musica su una delle audiocassette ascoltate nell'auto di Appice. Era il debutto solista di Billy Cobham. “Spectrum cambiò completamente il mio modo di guardare alla musica, inizialmente pensavo fossero i Badfinger, perché Carmine li ascoltava di continuo...”

“Notai un grande cambiamento in Jeff dopo il tour dei BB&A del 1974...” – ha detto Jimmy Copley, la cui band [Upp] suonò in apertura di un loro concerto. “Lavorammo con loro, e Beck apprezzò il nostro mood funk, ma John McLaughlin e Billy Cobham gli ronzavano in testa in maniera fissa ed inarrestabile...”

BAILEY APRE LE PORTE DELLA FUSION
Il cambiamento che Beck iniziava a prefigurarsi si manifestò con l’uscita di Blow By Blow del 1975. Con la produzione di George Martin, Beck registrò quattro tracce, comprese You Know What I Mean e Scatterbrain con Appice alla batteria. “Carmine era devastante per quanto era bravo...” – ha detto Beck – “probabilmente era l’ultimo di quei batteristi provenienti dall’influenza della scuola degli anni ‘40, ma con la capacità di Cobham di guardare sempre una battuta avanti...”
Tutto ciò non bastò perché Appice restasse nel gruppo e così Beck si trovò nuovamente alla ricerca di un batterista. Richard Bailey, allora diciottenne, prese il suo posto mostrando un drumming più flessuoso e meno pesante della doppia cassa che lo aveva preceduto. Bailey, infatti, non suonava certo con un kit mostruoso: “Allora usavo una Hayman… 22”, 13”, 16” con un rullante Rogers Dynasonic 14”x5”...”

“Prima di entrare in studio ci trovammo per una jam session, e tutto fu molto spontaneo. Ascoltai i brani registrati da Carmine. Erano molto più strutturati e chiusi rispetto al modo in cui suonavamo, ma non credo che ci influenzarono poi molto. Eravamo liberi di suonare qualsiasi cosa, da qui partimmo per creare un nuovo vibe...” Il risultato? Un album strumentale che non solo ha ridefinito il concetto di guitar playing, ma ha anche venduto più di un milione di copie, introducendo Jeff Beck in un’ulteriore dimensione sonora: quella del jazz/fusion/rock.

Ancora una volta però, malgrado il grandissimo successo di Blow By Blow, Bailey non durò abbastanza per ultimare i due mesi di tour negli States con la Mahavishnu Orchestra. Considerato poco adatto alle performance da stadio e troppo occupato da altre session in studio, Bailey fu licenziato nel momento in cui si dimostrò pronto a subentrargli il maestro del groove Bernard Purdie. Quest’ultimo si divertì da morire: “quel tour fu fantastico. Non mi è più capitato niente di simile...”

Ha dichiarato Copley: “il mio Jeff Beck Group preferito! Con Bernard Purdie, Wilbur Bascombe e Max [Middleton]. Avevano un groove mozzafiato! Ma, dopo un po’, Beck iniziò a sentire la mancanza di un drumkit potente alle sue spalle. La doppia cassa era importante. Credo gli desse un senso di sicurezza. Jeff ama la batteria e la suona anche molto bene...”
Beck ha confermato: “È vero, so suonare la batteria perché ho ascoltato così tanti batteristi funk che mi si sono quasi staccate le orecchie!”

{L’AUDACITÀ DI WALDEN PER "WIRED"
La sbandata di Led Boots [un edit maldestro eliminò una parte della jam] preparò il terreno per Wired (1976) ma, soprattutto, preparò il terreno per Narada Michael Walden che, con Billy Cobham uscito da poco, a soli 19 anni si era ritrovato a suonare con la Mahavishnu Orchestra. Influenzato da Art Blakey, Ringo Starr, Bernard Purdie e Mith Mitchell, Walden suonava con un feeling funky ed un impetuoso slancio fusion, passando repentinamente e senza alcun problema fra le misure nei tempi più diversi. Walden portò Beck su vette vertiginose con Sophie, e poi suonò il pianoforte in Love Is Green. L’impronta di Walden su Wired è di quelle indelebili.

PHILLIPS DIFFONDE L’ENERGIA
Dopo il grande successo di Blow By Blow e Wired, Beck si ritirò nella sua casa di campagna per ascoltare musica e mettere le mani su qualcuna delle sue amate hot rod cars.

Nel 1978 il batterista Simon Phillips, il bassista Mo Foster ed i tastieristi Tony Hymas e Jan Hammer si unirono a Beck per There & Beck. Simon Phillips, che aveva suonato con la dixieland jazz band del padre, aveva già registrato con gli 801, Jack Bruce e Judas Priest e, di lì a poco, avrebbe proseguito con David Gilmour, Pete Townshend e gli Who. Ma fu There & Beck che fece di Phillips una vera star.

Questo londinese non era certo estraneo alla musica di Beck. “Blow By Blow e Wired sono stati molto importanti per me. Avevo anche gli album del Jeff Beck Group con Cozy Powell…” – ha raccontato Simon Phillips – “… Jeff non mi ha mai detto cosa fare, gli piaceva come suonavo ed anche la mia musicalità. Sicuramente io ero più propenso al jazz, Benny Goodman, Artie Shaw e Buddy Rich, e inoltre sono cresciuto con i fiati… Chicago, Blood Sweat & Tears, Colosseum e Keef Hartley. E ascoltavo anche Bernard Purdie e Grady Tate per il loro groove…”

Malgrado Phillips e Hymas abbiano scritto quattro brani dell’album, fra cui il rovente Space Boogie, fu il tastierista Jan Hammer a suonare la batteria sul brano di apertura dell’album, Star Cycle. “Con There & Back tirammo fuori qualcosa capace di essere rock ed allo stesso tempo armonicamente complesso. La band durò veramente troppo poco, spero che prima o poi, saremo capaci di ripetere la cosa!”
Con le vendite degli album in discesa ed i lunghi periodi di inattività di Beck, le band vennero assemblate progetto dopo progetto.

LA MANO PESANTE DI BOZZIO
Una volta messosi Flash alle spalle, Beck si mosse verso una delle più intraprendenti avventure della sua carriera. Grazie ad audacia ed efferatezza sonora, Jeff Beck’s Guitar Shop Featuring Terry Bozzio & Tony Hymas lanciò il progressista manipolatore della Stratocaster nel 21esimo secolo quasi un decennio prima che questo prendesse il via sui calendari. Lanciato dal Bonzo-style di Bozzio della titletrack, l’album – ancora una volta – mostrò un Jeff Beck in grado di modellare il futuro. Con soltanto chitarra, tastiere e batteria, senza alcun basso, Terry Bozzio ebbe maggior spazio di manovra. I sovratoni metallici di Big Block, lo shuffle di Savoy ed il massacro dietro le pelli di Slingshot mostrarono il leggendario batterista di Zappa in piena modalità rock‘n’roll.

Guitar Shop vinse un Grammy (ad oggi Beck ne vanta ben 8), ma bisognerà aspettare la metà degli anni Novanta – con Pino Palladino al basso – per vedere nuovamente i tre [Bozzio/Beck/Hymas] insieme. Grazie all’invito avanzato da Carlos Santana, la formazione si ritrovò a realizzare un tour congiunto. La reunion del 2003 portò alla realizzazione di Jeff Beck Live At BB King’s, un album dalla ferocia rara.

LA TRANSIZIONE TECHNO DI STEVE ALEXANDER
L’arrivo nei negozi di Who Else? del 1999, segnò un altro glorioso “ritorno” di Jeff Beck. Malgrado su Psycho Sam figuri Manu Katché, e Jan Hammer su Even Odds, il nuovo membro del gruppo era Steve Alexander, il cui curriculum includeva la pop band Brother Beyond, i Duran Duran, i funkster Grandmaster Flash, e dei lavori per la televisione con la BBC Radio Orchestra. Con una visione fusion à-la Cobham a fare da supporto, un groove funk d’ultimo grido ed una magniloquente scelta di techno beat, il giovane gallese diede a Beck possibilità di fondere l’estetica sonora di Wired a quella di Guitar Shop. La fusione si realizzò con sensibilità estrema, concedendo a Who Else?di essere un solido punto di ripartenza, ed al suo successore, You Had It Coming, di essere il fantastico album che si rivelò sin dal momento dell’uscita (con tracce come di Dirty Mind, contenente una sessione di programmazioni d’elevatissimo livello e vincitrice di un Grammy). Con l’elettronica, Beck si mise in prua ed in tour, con l’acume stilistico che a tutt’oggi lo contraddistingue, Alexander giocò un ruolo fondamentale nella realizzazione del gigantesco progresso compiuto dal noto blues-fusion-rock di Jeff Beck.

IL GROOVE DI GANGADEEN
Il successivo periodo in tour di Beck, che incluse date abbinate ad artisti come Sting, vide la presenza nella lineup di Andy Gangadeen. Il batterista/produttore con sede a Londra (il cui curriculum include ZZTop, Spice Girls, Massive Attack, Icognito, Faithless ed il progetto jazz ‘n’ dance Bays and Chase & Status), si dimostrò un perfetto dispensatore di groove ed un buon conoscitore dell’elettronica.

STEVE BARNEY ASCOLTA
Con il nuovo album – Jeff (2003) in fase di registrazione – Steve Barney (ex batterista con Annie Lennox) si unì al gruppo. “Jeff ascoltava le registrazioni…” – ha detto Barney “e nel contempo mi chiedeva se mi piacevano, se c'era qualcosa che non andava o se un particolare frame fosse o meno adatto. Tutto ciò che ascoltavo mi sembrava incredibile, ma lui continuava a chiedermi che cosa ne pensavo…”

L’ESPLOSIONE CHIAMATA COLAIUTA
Il debutto a sorpresa di Vinnie Colaiuta con Beck, Pino Palladino ed il tastierista Jason Rebello, lo vide all’opera con un esplosivo set composto da brani di Hendrix durante il Meltdown Festival del 2005. Come Bozzio, anche Vinnie portato a scuola da Zappa, si fece prendere e trascinare dal dinamismo e dall’eccentricità di Beck. Aveva già lavorato anche con perfezionisti come Gino Vannelli e Sting, pertanto si fece trovare pronto ad ogni cosa.

Dopo i roboanti beats di Andy Gangadeen, Colaiuta reintrodusse gli elementi fusion dei quali Beck è così ghiotto. In casi estremi la competenza e la bravura tecnica di Vinnie fecero storcere il naso ad alcuni fan, i quali lamentarono l’esagerato dilagare del batterista. Il tutto si riduce però ad una questione di collaborazione e contesto, visto che quando si parla di Colaiuta si parte sempre da un presupposto: lui è il cuore ritmico-creativo da cui tutto si genera.

Dick Wyzanski (ainian.com – il sito web definitivo per i fan di Jeff Beck) ha detto: “Credo che Jeff fosse intrigato dall’abilità di Vinnie di continuare ad allontanarsi e ritornare sul tracciato così come erano soliti fare i batteristi fusion degli anni Settanta.”

Sull’album (e dvd) Appearing This Week At Ronnie Scott’s, registrato nel novembre del 2008 insieme all’allora ventiduenne bassista Tal Wilkenfeld [la bassista australiana, classe 1986] e premiato con il disco platino, Colaiuta continuò a modificare il suo setup per riuscire a rendere al meglio il perenne divagare in diversi stili e groove, ma pur sempre mantenendo chiara e presente la sua fortissima identità.

L’album Emotion & Commotion del 2010, il più venduto della discografia di Beck dai tempi di Wired (#11 negli Usa e #1 in Giappone), vide Colaiuta all’opera soltanto nella metà dei brani in cui c’era la batteria. Hammerhead – traccia premiata con un Grammy – fece infatti sfoggio del gran lavoro compiuto da Alessia Mattalia, che però venne presto rimpiazzata da Veronica Bellino, scoperta da Beck tramite il web. Anche la Bellino – che insieme a Beck suonò anche una versione del brano Bad Romance di Lady Gaga [ai Classic Rock Awards del 2011] – uscì di scena per essere sostituita dal vecchio amico Narada Michael Walden.

WALDEN TORNA IN GRANDE STILE
“Ogni volta che ero a Londra, mi vedevo con Jeff per ascoltare quello su cui stava lavorando…” – ha dichiarato Narada Michael Walden. [Dopo "Wired", Walden ha prodotto successi da classifica per Aretha Franklin, Whitney Houston e Mariah Carey]. Il suo ritorno nella band significò che la doppia cassa era di nuovo a disposizione di Beck, un vero e proprio ritorno a quella Led Boots che, inevitabilmente, continuava a sembrare una provocazione rivolta ai colleghi Zeppelin.

Diversamente da Colaiuta, Walden optò per un drumming molto più aperto, concentrandosi sui diversi tom della sua batteria così come potrebbe fare un pianista con la tastiera del suo strumento. Walden e Rhonda Smith [ex-bassista per Prince] misero in atto un assalto a suon di funky grooves. Sarebbe stato interessante scoprire cosa Walden avrebbe potuto offrire a Beck come produttore... In tale veste, Walden apparve (ufficialmente) soltanto su Jeff Beck – Live And Exclusive From The Grammy Museum (2010) e sul dvd Crossroads 2013, i cui brani Hammerhead e Nessun Dorma sono intramontabili capolavori.

JONATHAN JOSEPH
Jonathan Joseph ottenne il ruolo dopo che Beck lo vide in azione con la cantante Joss Stone [oggi figlia della moglie di Joseph]. Nel suo curriculum compaiono Mike Stern, Pat Metheny e Josef Zawinul dei Weather Report, tuttavia questo batterista fenomenale non era così noto nel giro. Beck fu folgorato dallo scoprire di avere un batterista di discendenza cobhamiana distante soltanto trecento chilometri dalla sua casa di campagna.

La versatilità è indubbiamente il punto di forza di Joseph e, come suggerisce chiaramente il dvd Jeff Beck Live In Tokyo 2014, il suo feeling funk andrà ad alimentare per un buon periodo la voglia di groove incandescenti, con un pizzico di follia, di Beck.

COBHAM… L’ULTIMA PAROLA
Qual è il batterista con cui Beck vorrebbe suonare di nuovo? “Billy Cobham. Lui è a tutt'oggi in grado di suonare bazzicando territori sconosciuti!” – ha dichiarato Beck.
Dopo aver sentito queste parole, Cobham ha detto a chi vi scrive: “Beh, digli che sono pronto in qualsiasi momento. Jeff è molto, molto musicale. Lui sa parlare con la musica direttamente dal cuore…”

Sì, ormai lo sappiamo: Jeff Beck ama i batteristi e i batteristi amano Jeff Beck. Vanno e vengono, ma il chitarrista più esigente del rock ha anche il merito di aver presentato al mondo alcuni fra i più grandi che ci siano!

"SUPERSTITION" ERA PER JEFF BECK
Malgrado Jeff Beck abbia registrato Superstition in Beck, Bogert & Appice (1973), Stevie Wonder fu il primo ad avere successo con quel brano che avevano scritto insieme. Quando? All’epoca in cui Beck stava registrando le sue parti per Talking Book (Motown Records) l’album di Wonder del 1972.
“Un giorno, durante una pausa in studio, stavo provando alcune idee dietro la batteria e quando Stevie era entrato aveva pensato che ero io il vero batterista. Mi disse: ‘non ti fermare!’ e andò a sedersi al Clavinet iniziando a suonare il riff che apre il brano. Quello fu l’inizio di "Superstition". Suonammo per due minuti circa e poi iniziammo a lavorarci su seriamente. Doveva essere un mio brano, per un mio disco, ma quando Stevie portò il demo a Berry Gordy (allora il boss della Motown) gli disse che il brano era suo. Questo è quanto… e fine della vicenda!”



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