Priest, New Flesh

Patrizia Marinelli 01 dic 2017
Che cosa hanno in comune i Priest e i Ghost? I nomi delle due formazioni scandinave, negli ultimi mesi sono stati spesso confusi ed accoppiati, soprattutto dopo lo spargimento di teaser, singoli e indizi vari, apparsi sulla rete. Proviamo a spiegare la questione…

Il nuovo trio techno/elettronico – i Priest – definito da più parti come un vero e proprio esperimento post-moderno, deve moltissimo al suo produttore (qualcuno dice anche mente creativa): ovvero, il chitarrista Simon Soderberg (alias Alpha), uno dei “Nameless Ghouls” [persone senza nome] dei Ghost. Inoltre, nell’album dei Priest – New Flesh – ha suonato anche il tastierista Airghoul [ulteriore altro musicista senza nome dei Ghost]. Considerando che le sorti dei Ghost sono piuttosto incerte, vista la battaglia legale innescata dai “Nameless Ghouls” contro il loro leader, Papa Emeritus (vero nome Tobias Forge), ai restanti e ribelli componenti del gruppo svedese non resta che crearsi nuove situazioni in cui suonare… Un po' quel che ha fatto Martin Persner (alias Omega) che, non soltanto ha gettato la maschera imposta da Forge, ma ha rimesso in piedi la sua vecchia band, Magna Carta Cartel.

New Flesh è l’album di debutto dei Priest, la formazione a trio che, come ...
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Priest
New Flesh
Lovely Records
i Ghost, mantiene segreta l’identità dei suoi componenti. Riguardo all’album in questione, il portavoce della band – identificato come Puppet Master – ha dichiarato così: “si tratta di un progetto multimediale che intende guidare l’umanità verso il prossimo passo: il mescolarsi con le macchine…” che – di hard rock, metal o goth metal – ha ben poco!
Le atmosfere dark la fanno da padrone, questo è vero, ma la scena si svolge su una piattaforma di pop elettronico e new wave in tipico stile anni Ottanta, con venature industrial e ritmi dance. Facile rivederci le composizioni di band che proprio negli Ottanta hanno vissuto il loro fasto maggiore (vedi Depeche Mode, Kraftwerk, Ultravox, arrivando fino ai Chemical Brothers…) ovviamente con una maggiore incidenza tecnologica e una produzione ultramoderna, con suoni selezionatissimi che ne accrescono il pathos.

L’album apre con le “vibrazioni meccaniche” di The Pit, brano che martella e ti entra nella testa, e poi si passa a Vaudeville, il primo singolo estratto che, insieme a The Cross e Private Eye, volge al pop elettronico di buona fattura.
History In Black si fa notare soprattutto per le liriche che, a differenza di ciò che il titolo potrebbe far pensare, inneggiano all’ottimismo e alla speranza della rinascita, mentre Populist si muove tra vocoder e distorsori ed è una delle song più originali dell’album in questione.
Si balla ai ritmo goth con Nightmare Hotel, mentre Call My Name è un trionfo di sintetizzatori dal gusto un po’ retro… come tutto l’album d’altronde. New Flesh chiude quindi con Reloader, uno degli episodi più industrial della scaletta, molto fresco e godibile nonostante una certa pretenziosità.

Forse New Flesh non farà intravedere all’ascoltatore il futuro della musica pop/elettronica, come i Priest pomposamente promettono, ma è comunque un disco di buona fattura, il cui mood mescola il passato e il presente con perizia e oculatezza.

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