JOEY KRAMER, LORD OF THE DRUMS

Maurizio De Paola 08 mag 2021
Questo articolo è apparso sul numero di dicembre 2008

Joey Kramer e gli Aerosmith: un connubio eterno e insostituibile. Trentacinque anni di musica, successi ed eccessi, una carriera che pochi sono in grado di vantare e che non ha mai scalfito la sua passione per la batteria che si porta dietro dalla nascita...

Parlare con Joey Kramer lontano da qualsiasi occasione promozionale o tour, è un’occasione da non perdere. Egli è una delle persone più sincere mai incontrate, quasi al limite dell’autolesionismo. Si ritiene un “batterista mediocre” e sembra quasi non rendersi conto che il suo drumming ha scritto pagine immortali nella storia del rock. E, nel caso degli Aerosmith, non si tratta di retorica!

La sua avventura con gli Aerosmith è talmente nota che è difficile dire qualcosa di nuovo sulla celebre band di Boston. Persino lo stesso Kramer, sebbene sia il più riservato dei cinque, ha fatto in modo che la sua vita pubblica e privata fosse la pagina di un grande romanzo popolare in cui divide il ruolo di protagonista con Steven Tyler, Joe Perry, Brad Withford e Tom Hamilton; un romanzo che, qualche anno fa, fu splendidamente messo nero su bianco dalla penna di Stephen ...
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info intervista

Aerosmith
Joey Kramer
Davis nella celebre biografia autorizzata Walk This Way.
Quello che si rivela a noi in questa chiacchierata telefonica, invece, è un Kramer un po’ riservato, che si stente bluesman e che, addirittura, fa intuire che la vera anima blues della band è lui.

E’ un Kramer che non ama parlare della sua collezione di Lamborghini (c’è anche un link sul suo sito internet), né degli aspetti più da gossip della sua lunga militanza in una delle pochissime rock band più famose di tutti i tempi. Al contratrio, è un Kramer che preferisce soffermarsi sulle sue prime influenze di batterista, del suo rapporto con gli altri componenti del gruppo e sulle sue più autentiche aspirazioni musicali... facendo solo un rapido cenno al nuovo album della band di Boston previsto per l’aprile 2009 e che si preannuncia come il grande avvenimento rock dell’anno che sta per arrivare...

Ma lui, a essere considerato una leggenda vivente, proprio non ci sta...

Joey, trentacinque anni di carriera sempre ai vertici sono un bel record. Quale pensi sia il segreto degli Aerosmith?
Detto francamente, non ho mai intuito il vero motivo del nostro successo. Forse ce n’è più d’uno... Negli anni Settanta eravamo circondati gente che ci diceva che eravamo il massimo allora in circolazione... che eravamo la più grande rock ‘n roll band del mondo... ma a me sembrava che fossimo la stessa garage band di qualche tempo prima. Eravamo dei ragazzini che non sapevano cosa fare di tutto quello che era capitato loro addosso.

Ti ci vedi tra dieci o quindici anni sul palco, in uno stadio, intento a suonare davanti a migliaia di persone?
Chissà. A dire il vero, non avevo neanche pensato che dopo tutti questi anni potessimo stare ancora insieme. E’ semplicemente accaduto, senza che nessuno lo programmasse... e non è mai stato facile mettersi d’accordo in questa band. Ma, evidentemente, il fatto che siamo ancora qui, è la dimostrazione che siamo sempre stati una band un po’ speciale. Forse il segreto sta nel fatto che noi amiamo ancora alla follia la sensazione di salire sul palco e attaccare il primo brano di un concerto. Sì, probabilmente è quel momento senza eguali che ci tiene insieme e ci fa sopportare qualsiasi cosa negativa!

Qual è stato il momento più difficile della tua carriera con gli Aerosmith?
Oh... ce ne sono stai diversi. A un certo punto della mia vita, sono sprofondato nella depressione e le cose hanno cominciato ad andare di male in peggio. Ho avuto tantissimi problemi personali e la mia presenza nella band stava cominciando a diventare un problema. Anzi, io stesso avevo cominciato a pensare, erroneamente, di poter fare a meno degli Aerosmith. Così gli altri avevano pensato di poter andare avanti senza di me... per mia fortuna si erano sbagliati anche loro!

Una sorta di matrimonio di lunga durata...
Esatto. E non ho mai sentito di un matrimonio senza i suoi problemi, i suoi alti e bassi. L’importante è trovare un equilibrio a lungo termine...

Ma è vero, secondo te, che i problemi e la sofferenza fanno bene alla creatività?
Certo che è vero! Guarda noi: le cose migliori le abbiamo scritte a metà degli anni Settanta e dieci anni dopo, ovvero proprio quando eravamo tutti – per diversi motivi – in situazioni personali alquanto difficili. Brani come Crazy e Living On The Edge non sarebbero mai nati se non ci fosse stata alle spalle qualche dolorosa esperienza personale. Si tratta di catalizzatori che trasformano le energie negative in positive.

Per un certo periodo, nel 1981, anche Joe Perry e Brad Withford avevano lasciato la band...
Abbiamo sempre sofferto di un problema di scarsa stima in noi stessi. Insomma, dal punto di vista tecnico, non ci siamo mai sentiti all’altezza di grandi band come i Led Zeppelin o i Deep Purple. Io, in particolare. Il mio più grande incubo era che un giorno qualcuno si svegliasse e si accorgesse che ero un batterista poco più che mediocre. Almeno, così pensavo io. Voglio dire, c’era in giro gente come Bonzo, Mitch Mitchell, Keith Moon... dove pensavo di andare? Se solo un giorno avessero organizzato un contest, sarei scappato dalla vergogna. Al loro confronto non avrei neanche saputo tenere le bacchette in mano!

Quando hai superato quella fase?
Ti sembrerà strano ma l’ho superata soltanto negli anni Ottanta. Dopo Pump, quando per la prima volta, ho avuto in mano tutta la responsabilità delle parti ritmiche e... il risultato... è stato più che soddisfacente.

Perché “per la prima volta”?
Quando registrammo Permanent Vacation e Done With Mirrors alcuni aggiustamenti vennero fatti con la batteria elettronica. Venivo da un periodo molto difficile e non ero in grado di dare il 100% di batterista. Con Pump decidemmo di accantonare definitivamente quella roba.

Sei un conservatore della batteria, quindi?
No, anzi: nel mio dvd didattico Drum Loops And Samples (2002) sono stato il primo batterista ad inserire le tracce separate e pronte per essere caricate su ProTools ed editate. So utilizzare bene gli odierni programmi e tecnologie legati al computer anche perché oggi non c’è batterista che possa permettersi di non saperlo fare. Tuttavia, mantengo un setup di base e cerco di non farmi prendere la mano. Sono giocattoli pericolosi da maneggiare: ti fanno dimenticare di essere un drummer...

I musicisti che hai citato prima sono anche quelli che ti hanno influenzato di più nei primi anni con gli Aerosmith?
John Bonham di sicuro. Mi studiavo i dischi dei Led Zeppelin quasi ogni giorno e poi, te l’ho detto, mi chiedevo come facessimo ad avere un successo paragonabile al loro negli anni Settanta. I miei idoli dietro la batteria erano Ringo Starr e Charlie Watts, oltre a Gene Krupa e Buddy Rich. Amavo il blues dei club, quello degli anni Quaranta e Cinquanta e tutti i musicisti che vi si rifacevano. E’ quel tipo di musica che oggi non ascolto più in giro.

Di tutti gli album degli Aerosmith, quale senti più tuo? Quello in cui hai avuto più voce in capitolo e che hai voluto maggiormente?
Non ho dubbi: Honkin' On Bobo...

... un album di cover che, a dir la verità, non ha avuto un successo grandissimo...
Non mi importa. Era l’album blues che volevo fare da almeno vent’anni e non avevo mai potuto fare prima. C’era sempre qualcosa che veniva prima e che era più urgente. Era come se gli altri avessero paura di fare un album del genere, quando poi anche loro condividono le mie stesse radici e certe influenze musicali. Sapevo che non sarebbe stato un album commerciale ma lo considero quello migliore che io abbia fatto.

A proposito di radici blues, quanto sono importanti per la tua musica e il tuo playing?
Sono fondamentali. Mi sono sempre considerato un bluesman e nient’altro. Da qualche tempo, infatti, sto suonando spesso con James Montgomery che, negli Stati Uniti, è una leggenda dell’armonica. La Kramer Montgomery Blues Band è nata per merito di alcune gig a scopo benefico ma, negli ultimi tempi, sta diventando qualcosa di sempre più grande ed impegnativo. La risposta del pubblico è stata superiore ad ogni aspettativa e stiamo organizzando qualcosa di grosso per il 2009. Non andrà ad inficiare il lavoro con gli Aerosmith, dato che siamo già alle prese con le registrazioni del nuovo album, ma di certo mi consente di riservarmi uno spazio tutto mio. E quando James mi ha chiesto quali brani degli Aerosmith mi sarebbe piaciuto suonare dal vivo con quela formazioni, gli ho detto: “lascia perdere... suoniamone qualcuno di quelli su Honkin' On Bobo!

Quali musicisti giovani ritieni interessanti?
Ascolto tantissima musica, ho la radio perennemente accesa e vado ancora in giro nei club ad ascoltare le nuove band, eppure non mi sembra ci sia granché di interessante in giro. Posso citare i Mars Volta, sicuramente... poi direi Queens Of the Stone Age e John Meyer.

E come batteristi invece?
Qui il discorso è diverso. Oggi ci sono tantissimi giovani batteristi eccezionali. Mi spaventano quando li vedo dal vivo e penso di essere uno a cui è andata bene. Oggi, non so se riuscirei a rifare quello che ho fatto.

Ti senti in competizione con i batteristi più giovani?
In un certo senso. La cosa più importante per un batterista della mia età è quella di tenersi in allenamento. Andare in palestra e fare joggin’ tutti i giorni. Non sto scherzando! Per uno come me, trovarsi in mezzo a tutti questi batteristi giovani che fanno cose strepitose e sembrano macchine del ritmo, è veramente molto imbarazzante...

Qualche nome?
Il drummer dei Lamb of God, Chris Adler. E' impressionante! E poi Ronny Vannucci dei Killers e Joey Jordison degli Slipknot. Wow!

Cosa cambieresti se potessi tornare indietro nel tempo?
Non so. In ogni cosa che faccio, tempo dopo, trovo qualcosa che vorrei cambiare. Prendi la biografia degli Aerosmith scritta da Stephen Davis, per esempio. Rileggendola oggi, mi sembra quasi di avere tra le mani un libro di avventura, un action book e non la biografia di una band. Mi sarebbe piaciuto che si parlasse più della musica, di come sono nate le canzoni che di tutto il resto, della droga e delle donne. Però, quando il libro venne pubblicato, per me era ok... Le cose cambiano in continuazione ed io oggi sono una persona che cerca di essere quanto più normale possibile. Non cerco più di vivere quella che la gente chiama “vita da rock star”. L’ho fatto in passato e ho avuto la fortuna di tirarmene fuori appena in tempo!

Cosa ritieni sia veramente cambiato nel modo di fare musica tra oggi e gli anni Settanta?
Tutto. Due cose hanno cambiato la musica per sempre: MTV e internet. Ora è dannatamente difficile farsi sentire, ottenere un buon contratto o semplicemente suonare da professionista, pur se i mezzi di comunicazione sono potenti. E’ cambiato il modo in cui la gente ascolta la musica, senza attenzione... quasi come se stesse mangiando un hamburger. E lo scopo dello show business è sempre stato questo, sin dagli anni settanta, trasformare la musica in hamburger.

Una politica che alla lunga però gli si è ritorta contro...
L’industria discografica oggi è praticamente morta. Ci sono le grandi band che sono aziende a se stanti e milioni di piccole band che cercano di emergere ma trovano solo chi gli offre uno spazio a pagamento sul web. Poi magari, trovano anche qualcuno disposto ad investire su di loro ma, se al primo colpo, non vendono centomila copie... tutto si rivela già finito.

Parlando di strumentazione, sei un endorser importante di DW...
Per anni ho usato Ludwig: un set con cassa da 20”, tom da 12” e timpano da 14” a cui aggiungevo uno dei miei rullanti da collezione, un Vintage Jazz snare degli anni ‘50 e ‘60. Ne ho più di duecento e li abbino ancora oggi alla DW Collector che suono al momento.

Come piatti, invece, sei da sempre un fedelissimo del marchio Zildjian...
Vero. Ho sempre usato solo Zildjian e non ho mai avuto motivo di cambiare, se non in rare occasioni. Penso che per il rock ‘n roll classico, Zildjian stia ai piatti come Marshall sta agli amplificatori per chitarra. Anche il mio setup è sostanzialmente invariato da molti anni, inclusi i tre crash che mi consentono effetti straordinari sui finali dei brani.

Se tu fossi uno spettatore presente a un concerto degli Aerosmith, cosa ti impressionerebbe di più del drumming di Joey Kramer?
La cassa. Il suo suono potente e definito... a cui ho sempre dedicato uno studio e attenzione particolari. E poi il groove solido, il timing e i fill giusti. In pratica, le basi per essere un buon batterista rock. Credo che Joey Kramer, dopo tutti questi anni, le abbia apprese finalmente! (ride)

Quante volte provi un brano o un disegno di batteria prima di registrarlo?
Potrei dirti: “fino a quando non viene bene...” Ma, in realtà, per me non verrà mai bene abbastanza. Sono eternamente scontento di quello che faccio e, quando registro una canzone o la suono dal vivo, sto già pensando a quella successiva e a come suonarci altre cose. Talvolta questo mio modo di fare ha portato a diverse incomprensioni negli Aerosmith, pur se adesso abbiamo imparato a tollerarci tutti con un po’ di buona volontà.

Qual è la cosa che genera maggiore contrasto con gli altri... lo puoi dire?
Ho sempre chiesto agli altri, al momento di provare un brano nuovo, di farlo con almeno una ventina di bpm diversi di partenza. E così, di norma, Joe (Perry) mi guarda stupito e mi dice: “... ma si capisce subito che questo brano prevede la tale velocità!...” Per me, invece, la velocità di un brano non è mai scontata. Bisogna sperimentare con un ampio range di bpm per capire quel è il più adatto e non lo sai finché non l’hai suonato e registrato e te lo sei risentito tante volte, paragonandolo alle altre versioni. Io poi, provo in maniera ossessiva gli stessi pattern con il charleston aperto, poi chiuso e poi sul ride... Sarei anche capace si starmene da solo per ore a sperimentare ogni passaggio, finché non ho trovato quello che mi convince. E la cosa non è molto gradita a Brad, Tom e Joe.

E Steven Tyler, invece, che ne pensa?
Lui è l’unico che mi appoggia. Musicalmente è nato come batterista e sa che cosa significa stare dietro ai tamburi. Parliamo la stessa lingua.

Joey Kramer setup

DW Collector’s Series Maple Drums
18”x22” Cassa
7”x14” Rullante
9”x13” Tom
16”x16” Tom
16”x18” Floor Tom

5000TD3 Delta3 Single Pedal
5500TD Delta Turbo Hi-Hat Stand
9502LB Delta Cable/Remote Hi-Hat Stand
9300 Snare Drum Stand
9999 Single Tom/Cymbal Stand
9700 Straight/Boom Cymbal Stand (x4)
9120 Tractor-Style Drum Throne

Zildjian Cymbals
14” A Rock Hi-Hat Brilliant
20” A Earth Ride Brilliant
20” A Medium Crash Brilliant (3)
12” Remote Trash Hats
14” Remote Trash Hats
20” Oriental China Trash
12” EFX Piggyback

Joey Kramer – all’anagrafe Joseph Micael Kramer, è nato il 21 giugno 1950, New York, nell’area del Bronx.

E’ il primo figlio maschio di Mick Kramer, un soldato, e Doris Schwartz, un’infermiera, ed ha tre sorelle più piccole: Annabelle, Suzy e Amy.

Joey Kramer ha frequentato la Thornton Donovan School ed è stato lui a dare il nome agli Aerosmith nel 1973. Quel nome lo aveva scritto la prima volta sul suo bloc-notes quando ancora frequentava la scuola e poi lo aveva riportato su tutti i suoi libri scolastici. In una intervista gli venne chiesto il perché di quel nome e lui rispose: “è dedicato a una mia compagna della high.school!”

E’ entrato negli Aerosmith come batterista, affinché Steven Tyler potesse dedicarsi esclusivamente al canto, ed è presente nelle registrazioni di tutti gli album della celebre band di Boston.




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