Protagonisti tra i più originali ed apprezzati del melodic death metal, gli svedesi Soilwork continuano irrefrenabili la loro corsa che ora approda a Övergivenheten, il loro nuovo e 12esimo album.
Pare proprio inarrestabile la spinta creativa dei Soilwork, la rovente melodic death metal band, formatasi a Helsingborg (Svezia) nel 1995 e capitanata da Björn “Speed” Strid. Visionaria per vocazione e interessata all’evoluzione di una parabola da far crescere con costanza, la band svedese ha da poco pubblicato Övergivenheten, il loro 12esimo album uscito il 9 agosto 2022 su Nuclear Blast Records.
Prodotto da Thomas ”Plec” Johansson (The Night Flight Orchestra, Scar Symmetry), accanto ai Soilwork già nel disco precedente, Övergivenheten prosegue sulle orme indicate da Verkligheten (2019) enfatizzando però elementi melodici e atmosfere; una manciata di brani nati nel 2021, ben suonati e realizzati, che hanno rispettato in buon ordine le restrizioni della pandemia, ma che ora sono fruibili ai vari fan sparsi per il globo.
Danese, classe 1992, Bastian Thusgaard si fa le ossa con diverse heavy metal band (tra cui Dawn Of Demise, Blood Label, The Arcane Order…) quando, nel 2016, entra nei Soilwork (la band di cui è un accanito fan), ereditando lo sgabello di
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un Dirk Verbeuren passato nei Megadeth. Verkligheten (2019) è il primo album dei Soilwork con Thusgaard dietro i tamburi ed ora è la volta del nuovo Övergivenheten.
Björn “Speed” Strid (vocal) – David Andersson (guitar) – Sylvain Coudret (guitar) – Bastian Thusgaard (drum) – Sven Karlsson (key) – Rasmus Ehrnborn (bass)
Ciao Bastian, partiamo dal titolo del nuovo album, Övergivenheten, come mai in lingua svedese? Övergivenheten significa Abbandono, una parola che la dice lunga sul tema generale dell’album, che si pone una domanda: siamo noi gli abbandonati o siamo coloro che abbandonano? Abbiamo deciso per il titolo in svedese perché volevamo che Övergivenheten fosse una sorta di continuum ideale di Verkligheten [Realtà], anch’esso un termine in lingua svedese. Inoltre, ci piaceva l’idea di dare enfasi alle nostre origini scandinave così chiare nel nostro sound.
Il feel così scuro e ombroso dei brani probabilmente ha a che fare con il fatto che sono nati nel corso pandemia, un momento che ciascuno ha vissuto e percepito in modo differente; qual è stato il tuo stato d’animo e quello della band in quei momenti assurdi? E’ stata una sfida per tutti gli esseri umani, ma credo in modo particolare per chi, come noi, vive di musica. Noi eravamo abituati a viaggiare e stare insieme parecchio, a incontrare ogni giorno tante persone e il nostro pubblico in luoghi diversi e, dover rinunciare di colpo a tutto questo, è stato davvero penoso. Per non parlare della realizzazione dell’album; organizzare l’iter delle diverse fasi non è stato affatto semplice. Abbiamo dovuto suddividere le registrazioni in tre session e la prima che ci ha consentito di ritrovarci tutti insieme è avvenuta a dicembre (2021). Credo che il feel cupo del disco sia proprio la risultante di quella situazione.
Ora che la situazione globale si è appianata, avete ripreso la vostra intensa attività live e, dopo i festival estivi, a novembre sarete in tour in Australia, sei contento? Stiamo suonando nei vari festival estivi ed è fantastico! Pensa che dopo così tanto tempo, mi pareva strano il fatto di mettere il naso fuori… Ma è stato straordinario ritrovarmi con i ragazzi, fare le prove, chiacchierare e stare insieme come prima. Il primo concerto che ha riaperto la nostra attività live lo abbiamo fatto proprio nella mia città d’origine ed è stata un’emozione pazzesca. In quanto al tour, non vedo l’ora di suonare i brani dell’album per i fan australiani!
Nell’album ci sono archi e pianoforte: l’approccio con quel tipo di sonorità è stata una sfida per te che sei un batterista tradizionalmente heavy? Ritengo che sia davvero interessante andare a instillare un risvolto per così dire acustico dentro un certo tipo di musica; me ne ero reso conto già lavorando sul nostro precedente album e in generale ascoltando le produzioni più recenti della band, quando ancora io non ero presente. In questo caso, il risvolto acustico è più marcato grazie appunto all’intervento di violino e cello, nonché del pianoforte. Ho sperimentato approcci diversi dietro il drumkit prima di intuire quali fossero i più adeguati al sound generale e, alla fine, credo di essere riuscito a fare un buon lavoro.
C’è stato un brano particolarmente ostico da registrare? Oddio, ci devo pensare. Forse The Godless Universe, che ha parecchie parti intricate ed un drumming molto intenso. Ora che ci penso, anche il secondo singolo, Nous Sommes La Guerre, mi ha richiesto un bel po’ di impegno: è un brano piuttosto semplice all’ascolto, mentre in realtà c'è una costruzione ritmica articolata che ho dovuto costruire come supporto.
Övergivenheten è il primo album con il nuovo bassista, Rasmus Ehrnborn: che genere di tandem ritmico avete messo in piedi? Rasmus è grandioso ed è una fortuna poterlo avere con noi! In realtà, lui è vicino alla band da tempo, essendo stato il nostro bassista live sin dall’album precedente. Abbiamo quindi suonato insieme in un sacco di show e posso dirti che per me è fantastico condividere il tandem ritmico con un bassista come lui. Oltretutto, è molto musicale e molto preparato; se in studio ci ritroviamo davanti a un dubbio o a un quesito, stai certo che lui avrà sempre la risposta. Una certezza sotto diversi profili.
Che genere di equipment hai utilizzato per la registrazione dei brani? La mia Yamaha Absolute Hybrid Maple, più il rullante 14”x6,5” Recording Custom. Trigger Footblaster per la cassa. Doppio pedale Czarcie Kopyto. Piatti Zildjian (Avedis, A Custom e K Custom), bacchette Rohema 5BX e pelli Search [marchio danese].
Melodic metal, melodic death metal, alternative melodic metal, sono gli aggettivi che vengono attribuiti alla musica dei Soilwork: in tutti i casi, il riferimento all’aspetto melodico resta costante; come ci siete arrivati, e, in modo particolare, in questo nuovo disco? Soprattutto oggi, con la rete a disposizione, puoi captare in anticipo quel che potrebbe funzionare per l’audience più ampia; per noi, invece, la prima cosa è suonare quello che ci piace. La vocazione melodica, evidentemente, è qualcosa che ci appartiene ed io ritengo che provenga per lo più dall’influenza della musica scandinava su di noi, unita a certi paradigmi del rock più classico.
Nel corso del tempo i Soilwork hanno assistito ad un certo andirivieni nella lineup, soprattutto da parte dei batteristi ma con te, che hai ereditato lo sgabello da Dirk Verbeuren, la band pare avere finalmente raggiunto la stabilità. A proposito di Verbeuren, molti ti considerano un suo pupillo, sei d’accordo? Assolutamente sì! Dirk ha sempre esercitato un’influenza enorme su di me e sono stato molto fortunato ad incontrarlo ben prima di unirmi ai Soilwork. Sono anche andato a lezione da lui e la nostra connessione è iniziata da lì. Mi ha parlato del suo ingresso nei Megadeth e del fatto che io incontrassi i Soilwork e devo ammettere che quello è stato un momento davvero emozionante; ero orgoglioso che Dirk Verbeuren avesse pensato a me e al contempo ansioso e spaventato di dovermi mettere alla prova.
All’inizio hai suonato con loro soltanto nei tour e successivamente sei diventato membro ufficiale dei Soilwork: si direbbe che la tua grinta sul palco li abbia convinti, è così? E’ così. Ho suonato con loro in un sacco di show, pur se all’inizio dovevano essere soltanto cinque. Dirk però stava per entrare nei Megadeth mentre i Soilwork avevano ancora parecchie date da fare, quindi ho continuato con loro.
Hai suonato con diverse metal band prima dei Soilwork, in cosa differiscono dalle altre? I Soilwork per me hanno significato conquistare la libertà. Sono da sempre un fan del death metal, quindi mi piacciono i blast, il doppio pedale e robe simili; al contempo, mi piace il classic metal con i suoi tempi predefiniti e, perché no, contaminato da spunti prog. I Soilwork amano cucire musica su misura, addosso alla lineup, mentre altre band rispondono a format e regole prestabilite. Ecco perché prima ti parlavo di libertà d’espressione.
Lo scorso maggio hai lanciato in rete Blastable Drumming, una piattaforma per l’insegnamento online della batteria che, come suggerisce il nome, macina heavy metal: come è nata questa idea? Devo dirti che pur se Blastable Drumming è nata da poco, mi sta restituendo grosse soddisfazioni. L’idea mi è venuta da alcune lezioni online che ho fatto a degli studenti nel corso del tour con i Soilwork; il concetto è trasmettere loro le varie tecniche, i blast beat, il doppio pedale, il modo di suonare certi fill, il controllo della velocità… Insomma, è un programma didattico rivolto alle discipline della batteria metal. Concetti e regole vanno seguiti, ma il drumming se lo devono costruire i ragazzi sviluppando la loro creatività.
Per concludere, quali sono le prossime mosse dei Soilwork, tour a parte? Al momento siamo impegnati con la promozione dell’album e, come dici tu, con il nostro tour, ma posso anticiparti che presto ci metteremo a scrivere materiale nuovo. Poi ci sono anche altri progetti in ballo. Durante il lockdown, ad esempio, abbiamo discusso della possibilità di organizzare show in cui suonare per un intero pomeriggio e non gli usuali 60 minuti delle serate. Qualcosa come “an evening with Soilwork” in cui poter presentare per intero il nostro Ep A Whisp Of The Atlantic del 2020, compresi i pezzi più lunghi, della durata di 17 minuti. Sarebbe fantastico!
I Soilwork, che fino al 1996 si fanno chiamare Interior Breed, si fanno apprezzare con The Chainhear Machine (2000), per molti il loro lavoro migliore, dunque con Natural Born Chaos (2002) per la cui produzione si affidano a Devin Townsend e Fredrik Nordström. Con Townsend tornano a lavorare nel 2007 per l’album Sworn To A Great Divide, seguìto di quel Stabbing The Drama del 2005 che frutta loro l’ingresso nel mercato statunitense. Certamente sono i live a decretare la loro notorietà su vasta scala; dapprima in Europa e via via fuori dal continente, Giappone ed Australia inclusi. I rock-fest più celebri (su tutti OzzFet, 2005) suggellano la parabola artistica dei Soilwork a livello internazionale.