Tutti i batteristi di David Bowie

Wayne Blanchard 15 mar 2017
Osservando Keith Moon, Viv Prince (con i Pretty Things), Mitch Mitchell, Ginger Baker, Jim McCarty (con gli Yeadbirds) che suonano nei fumosi locali di Londra, David Bowie si convince che ogni band che con lui farà il suo viaggio nel tempo e nello spazio, avrà un batterista grandioso. E così è stato: a partire dal suo Space Oddity fino all’ultimo Blackstar...

Manca poco alla fine del 1964, David Jones - un Mod 17enne - si è appena fatto venti minuti di metropolitana che lo ha portato dai sobborghi di Brixton, fino alle strade piovigginose e scure di una Londra tutta “sex drugs & rock ‘n roll”. È sceso nel quartiere di Soho ed è diretto al 90 di Wardour Street, una zona resa celebre dal Marquee, lo storico locale in cui, quella sera, si esibiscono proprio i Re dei Mod: The Who. (Chissà se quella sera il giovane Jones immagina che, nel giro di un anno, sarebbe salito anche lui su quel palco dando il via ad una carriera stellare...)

Le cavalcate in stile four-on-the-floor di John Lee Hooker contrastano la rabbia del nascente R&B britannico, mentre i modaioli The Kinks, The ...
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info intervista

DAVID BOWIE
Who e The Small Faces, incarnano i tratti delle pop star più cool. Dal canto suo, David Jones vuole essere Mick Jagger. O… forse John Coltrane.

All’alba del 1969 David Jones è già diventato David Bowie ed è nella UK Top Five con la sua Space Oddity. A quel punto, Bowie si mette a pensare ai batteristi.

In cima alla vetta c’è Terry Cox ma suona coi Pentangle, dunque è John Cambridge ad aver suonato in Space Oddity ed accompagnato Bowie in diverse gig.
E’ lo stesso Cambridge a presentare Bowie a Mick Ronson (chitarrista di The Rats, nella cui formazione suona anche John). In poche settimane, Ronson, Cambridge e il bassista Tony Visconti, sono la formazione ufficiale di Bowie e si chiamano The Hype. David è elettrizzato dall’idea di suonare con Mick Ronson, tanto che più volte dichiara: “Wow... ho trovato il mio Jeff Beck!” Pochi mesi dopo, Cambridge decide che la sua strada sarà un’altra: dunque lascia, obbligando Bowie a fare una telefonata…

MICK “WOODY” WOODMANSEY
“Ciao Woody, sono David Bowie. Mick Ronson mi ha detto che sei un batterista in gamba. Vorrei che tu venissi a suonare con noi...”. Anche Trevor Bolder (il bassista di The Rats) viene ingaggiato visto che Visconti ha già preso il ruolo di produttore.
Quella telefonata significa niente più serate nei locali bui e fumosi del nordest inglese per Mick “Woody” Woodmansey: un vero rocker ispirato da Ginger Baker, Mitch Mitchell, John Bonham, Keith Moon e Sandy Nelson.

Woody ha già annusato la parabola in ascesa del ragazzo androgino di Brixton: il suo glam rock si è già diffuso nelle diverse contee inglesi e gli Spiders From Mars attirano parecchio. Agli inizi dei Settanta Bowie è già una star e un’icona cult in Gran Bretagna ed oltre. Con i suoi Ragni da Marte, registra The Man Who Sold The World, Hunky Dory, Alladdin Sane e The Rise And Fall of Ziggy Stardust And The Spiders From Mars, incluse le hit Suffragette City e Changes. Per molti Ziggy è il loro Beatles. E Woody il loro Ringo.

3 luglio 1973: durante l’ultimo spettacolo dello straordinario Aladdin Sane Tour - dopo una serie di concerti indimenticabili corredati dagli assoli di Mick Ronson, dall’intervento di un ospite sul palco come Jeff Beck e dopo un soldout all’Hammersmith Apollo di Londra - Ziggy annuncia che non solo quello è l’ultimo concerto del tour, ma è anche l’ultimo che avrebbero fatto assieme. Tutti ne sono scioccati, ad esclusione di Ronson che ne è già a conoscenza: Ziggy e tutta la band si mettono a litigare. Ferocemente.
“Quando ero un ragazzino” - ha ricordato Vinny Appice (Dio e Black Sabbath) - “ascoltavo mio fratello Carmine, John Bonham, Mitch Mitchell e Buddy Rich. Avevano batterie enormi, con una proiezione fuori dal comune. La prima volta che ho ascoltato Ziggy Stardust, non avevo dato troppo peso alla batteria, anche perché mi pareva un po’ troppo asciutta. Oggi, a distanza di anni, quando lo riascolto, capisco quanto il tocco di Woody abbia influenzato quei brani! Ha uno stile tutto suo e quel suo sound crudo dà polso a tutto il resto. Il grande successo di quella musica, a mio avviso, è da attribuire in buona parte proprio a Woody...”

Oggi “Woodmansey” gira ancora il mondo suonando la batteria con la sua band: gli Holy Holy. Al basso c’è Tony Visconti ed i brani apparsi su The Man Who Sold The World che Bowie non ha mai suonato in tour, sono le colonne portanti dello show. Woody e la sua band riempiono ancora le arene: dalla Gran Bretagna fino al Giappone...


AYNSLEY DUNBAR PROTAGONISTA DELLE GRANDI HIT
Mentre Bowie cerca di dare un nuovo assetto alla sua carriera, decide di registrare Pin Ups, un disco che contiene i grandi successi che aveva imparato a conoscere durante le serate al Marquee. Alla batteria decide di chiamare un drummer che lo ha impressionato svariate volte proprio al Marquee: Ainsley Dunbar.

Aynsley Dunbar, che ha sfiorato di un soffio l’ingaggio con Jimi Hendrix, registra Hard Road come membro dei Bluesbrakers di John Mayall ed offre il suo disarmante piede destro ed il suo groove potente al Jeff Beck Group nel 1967. Interrompe quindi la collaborazione con Beck per formare gli Aynsley Dunbar Retaliation e, poco più tardi, i Blue Whale... prima che Frank Zappa lo chiami a Los Angeles invitandolo nei suoi Mothers of Invention. Quando registra Pin Ups (1973) di Bowie, Dunbar è già una star e, neanche farlo apposta, il disco schizza al primo posto delle classifiche UK.

Dopo che The Man Who Sold The World ha scalato le classifiche, giunge il momento di tornare in studio per registrare un nuovo album di Bowie: Diamond Dogs (1974), contenente la hit Numero Uno, Rebel Rebel. Ma, nel bel mezzo delle registrazioni, Dunbar decide di lasciare la nave e di tornare in America per unirsi a Journey che scaleranno le classifiche con il loro Starship. Registra quindi Whitesnake, il disco multi-platino della band statunitense i cui brani Still Of The Night, Is This Love e Here I Go Again finiscono nelle Top Charts. Niente male per il ragazzotto di Liverpool...

TONY NEWMAN VA IN AIUTO A DIAMOND DOGS
In sostituzione di Dunbar viene chiamato Tony Newman, un volto noto della scena londinese, nonché un ex batterista del Jeff Beck Group. [E’ lui in Beck-Ola]
“Stavo lavorando con gli Who per la registrazione della versione di Tommy per il loro film, quando ricevetti la telefonata del bassista di Bowie, Herbie Flowers, che mi chiedeva se riuscivo a sostituire Aynsley nella registrazione di Diamond Dogs. Conoscevo David ancora come David Jones, dunque quando lo incontrai fui sorpreso perché era ormai diventato Bowie, la grande superstar! Nonostante ciò, trovai una persona molto aperta e ricettiva... Quando iniziai a proporre un po’ di beat per il brano Diamond Dogs, lo vidi voltarsi verso il resto della band con gli occhi pieni di gioia! Per Sweet Thing, mi disse di immaginarmi un batterista francese che assisteva per la prima volta alla sua ghigliottinata. Quel brano poi, è diventato ancora più drammatico durante il David Live. Perché? Scoprimmo la sera stessa del concerto che saremmo stati registrati per un disco, dunque pretendemmo un aumento del cachet di 150 dollari. Furono attimi di tensione, Bowie perse la calma e urlò che in quel momento dovevamo solo concentrarci a suonare: viceversa, avrebbe fatto il concerto da solo. Alla fine la questione si risolse e ci diedero 5000 dollari. Durante lo show, David mi aveva guardato sorridendo…”

A quel punto il glam rock di Bowie stava per essere rimpiazzato da quell’anima sottile e denudata già apparsa nel suo Philly Dogs Tour. Bowie stava per diventare il Duca Bianco...

ANDY NEWMARK LA SUA FAMA VA AL #1
Nel tardo 1974 – assieme a Willie Weeks (basso) e David Sanborn (sax) – Andy Newmark si trova ai famosissimi Sigma Studios di Philadelphia, la mecca del cosiddetto Philly Sound. Lì mette il suo drumming in Anticipation di Carly Simon e il suo sincopato funk in Fresh degli Sly Stone. Ciò che Bowie ha in mente, è di coinvolgere la sezione ritmica degli MSFB, ovvero la versione funk della Wrecking Crew di L.A. La lineup del Duca Bianco cambia.
Registrano Young Americans (1975) e poi Bowie realizza tracce addizionali agli Electric Ladyland Studios. Alomar chiama Dennis Davis per quelle tracce e tra esse c’è John Lennon che canta Aim…Aim… accompagnato dal riff di chitarra funky di Carlos Alomar. Quella traccia si evolve in Fame, il primo singolo di Bowie a finire al primo posto nella classifica di Billboard.

DENNIS DAVIS L’ASSO NELLA MANICA DEL DUCA BIANCO
Dennis Davis non è un rock n’roller. Ha studiato con i più grandi jazzisti di sempre, tra cui Max Roach ed Elvin Jones, suonato per una dozzina di anni con Stevie Wonder (inclusi gli album Hotter Than July e Master Blaster) e suonato in Idiot (1977) il disco di Iggy Pop, lo storico amico di Bowie. Davis, batterista newyorkese, porta una ventata di aria fresca nel nuovo assetto di Bowie... Registra Young Americans (1975), Station To Station (1976), Heroes (1977), Lodger (1979) e Scary Monsters (And Super Freaks) del 1980, distribuendo i suoi groove funky, una doppia cassa incendiaria e un gran lavoro sui crash. Caratteristiche che fanno di lui il vero asso nella manica del maestro britannico. Con la scomparsa di Davis nell’aprile 2016, Tony Visconti ha dichiarato: “È stato uno dei batteristi più creativi con cui io abbia lavorato. Era un batterista raffinato e disciplinato, passato al rock mantenendo la sensibilità del jazz...”

Quando nel 1976 Bowie si trasferisce a Berlino, si fa ispirare dai Kraftwerk ma non dalla rigidità delle percussioni elettroniche delle band tedesche di allora. E così, per le registrazioni di Low, Heroes e Lodger, Bowie vuole
emulare quel mood dell’elettronica ad opera però dei musicisti veri. “E’ stato il nostro tentativo riuscito di portare il tocco umano in quelle strutture…” – ha dichiarato Davis – “Sin da Station To Station, è stato il perfetto ibrido di R&B ed elettronica...”
Raggiunto l’obiettivo, il cambiamento è inevitabile...

TONY THOMPSON RAGGIUNGE IL VERTICE DELLE CLASSIFICHE
Quando Bowie prende in mano la sua acustica a 12 corde e canta Let’s Dance alla stregua di una canzone folk, al suo produttore Nile Rodgers (nonché band leader degli Chic) non piace molto. Rodgers chiama allora la sezione ritmica degli Chic (il batterista Tony Thompson e il bassista Bernard Edwards) per dare una botta di heavy/funk alla Zeppelin. Rodgers è sorpreso che a Bowie piaccia un casino... Thompson registra Let’s Dance (1973) e prende parte al Serious Moonlight Tour e relativo video.

“Let’s Dance era un pezzo super funky che al tempo stesso picchiava duro” – ha commentato Glen Sobel, il batterista con Alice Cooper – “non potevi ignorare quel beat impressionante. La sorpresa per me è stata quando sono andato a riascoltarmi i primi lavori di Bowie… Space Oddity, Suffragette City (questa song la suoniamo anche con Alice), Young Americans e Fame. Bowie aveva sperimentato parecchio con il funk, ma con Let’s Dance si era spinto oltre. I brani in cui suonava Tony [Thompson] continuavano a passare in radio, sembrava aver preso parte a tutti i più grandi singoli del momento: Some Like It Hot e Get It On (Bang A Gong), Addicted To Love (Robert Palmer) e Like A Virgin (Madonna)… Tony era dappertutto. Mi ha raccontato di quando aveva provato insieme ai Led Zeppelin per il loro Live Aid della reunion, e di quando Jimmy Page gli aveva mostrato il vero modo in cui Bonham suonava il rock'n roll, ossia con un Texas shuffle molto piatto...”

Il Live Aid di Philadelphia del 1985 porta i Led Zeppelin a invitare Thompson a sedersi dietro i tamburi della nuova formazione. Ma, mentre è in Gran Bretagna per una prova con loro (1986), Thompson subisce un tremendo incidente in auto che mette fine al progetto Zeppelin e quasi alla sua vita.

OMAR HAKIM LASCIA BIRDLAND…
Thompson non è l’unico batterista ad aver suonato nel disco multi-platino Let’s Dance. Il giovane Omar Hakim, batterista jazz/fusion già con i Weather Report, mette il suo talento nel brano China Doll di Bowie. Nile Rodgers non specifica quali musicisti suonano nei diversi brani di quel disco perché sostiene che basta nominarli tutti nei credits perché le loro carriere decollino. Comunque sia, a suonare la batteria in China Doll è Hakim. “Omar ha suonato i gustosi fill che ascolti in quel brano...” – ha dichiarato Glen Sobel“lì c’erano un sacco di musicisti grandiosi che hanno permesso di creare il groove favorevole per Bowie. Per quanto mi riguarda, Nile Rodgers mi ha aiutato a sviluppare il mio senso del groove…”

Il successo ottenuto con Bowie, permette ad Hakim grandi ingaggi: Sting, Dire Straits (Brothers In Arms, Money For Nothing), Springsteen, Madonna, Michael Jackson. E poi Duft Punk (che con il loro Get Lucky hanno vinto un Grammy) e, nel 2015, il fortunato tour dei Journey.

NEIL CONTI ASSAPORA IL SUO MOMENTO MAGICO
Mentre Tony Thompson si esibisce al Live Aid in America, David Bowie – all’apice del successo di Let’s Dance – fa un’apparizione al Live Aid di Londra, al Wembley Stadium. I Queen lo precedono sul palco suonando We Will Rock You/We Are The Champions, mentre The Who si sarebbero esibiti dopo di lui. Bowie è su quel palco con una lineup nuova. Al di là delle prove, per lui, quello è un contesto nuovo.
La corista Tessa Niles (Paul McCartney, Tears For Fears, Rolling Stones, The Police ed Eric Clapton…) fresca del lavoro in She Blinded Me With Science (il successo planetario di Thomas Dolby in cui Neil Conti [Prefab Sprout] è alla batteria) è sul palco di Bowie alle tastiere. Ricorda Neil – “Bowie non ci diede alcuna direzione da seguire, ci disse soltanto di essere noi stessi. Aveva scelto noi perché sapeva che saremmo stati pronti in così poco tempo. Aveva fiducia in noi...”

Conti e Rodgers hanno anche registrato Dancing In The Street di David Bowie e Mick Jagger. Ha dichiarato Conti su mikedolbear.com: “David e Mick avevano fretta di girare il video di quella canzone e poco tempo per registrare in studio. Tutto però era andato alla grande, anche se… mentre stavamo registrando la prima take in un modo delizioso, la cordiera del mio rullante si è rotta. A quel punto, il mio Ludwig 400 del 1957 sembrava un timbale! Dissi, ‘scusate ragazzi, il mio rullante se n’è andato…’ E abbiamo fatto un’altra take...”

HUNT SALES E QUELLA MACCHINA...
Preoccupato di rimanere intrappolato dal successo di Let’s Dance seguito da quello di Never Let Me Down (1987) [è Alan Childs a suonare nel Glass Spider Tour], Bowie decide di diventare a tutti gli effetti membro di una band: Tin Machine.
In passato Bowie ha suonato in Lust For Life, il celebre album di Iggy Pop, e in quella occasione ha incontrato il batterista Hunt Sales e suo fratello bassista, Tony. Decide quindi di chiamare loro come sezione ritmica della sua nuova creatura.

Con il suo kit di quattro tamburi con la cassa da 26”, Hunt Sales pare un mix fra Ringo, John Bonham e Paul Cook dei Sex Pistols: beat potenti, groove corposi e una bella mano pesante all’occorrenza. Con la nuova formazione, Bowie fa una serie di tour e tre album: Tin Machine, Tin Machine II ed il live Oy Vey, Baby. Ormai i fan di Bowie si sono lasciati alle spalle il capitolo Let’s Dance ed amano i suoni crudi e ruvidi, i riff pesanti e le venature punk. La carriera del Duca Bianco ha bisogno di tornare alle origini.

STERLING CAMPBELL PROSPERA LA DIVERSITÀ
Quando l’allora 14 enne Sterling Campbell vede sul pianerottolo il suo nuovo vicino di casa, Dennis Davis, con dei piatti e una custodia per le bacchette, gli chiede: “dove stai andando?” - “Suono stasera con David Bowie, vuoi venire?” Campbell, che conosce soltanto un brano di Bowie (Fame), accetta. Rimane folgorato da quella esperienza: “quella notte ho deciso di dedicare la mia vita alla musica...”

Dopo aver suonato con Cindy Lauper e i Duran Duran, Campbell – a quel punto un professionista 28enne – incrocia la strada di Bowie attraverso Nile Rodgers che lo chiama per Black Tie White Noise (1993) ed Outside (1995). Campbell adora la musica di Bowie, così eclettica e diversa... Entrare nei Soul Asylum, significa però dire addio al tour di Outside, dunque raccomanda il suo amico Zachary Alford (batterista dei B-52). Riprende a collaborare con Bowie per le registrazioni di Reality (2003) e per il conseguente Reality Tour (2003/2004).

ZACHARY ALFORD UN LAVORO IMPECCABILE
Il ragazzo con i capelli selvaggi in arrivo dalla band di Bruce Springsteen, sorprende un po’ tutti, ma il giovane Zack sa il fatto suo. E’ cresciuto nella stessa zona di New York di Sterling Campbell, Ben Perowsky e Poogie Bell, e quest’ultimo, così come Kenwood Dennard e Tommy Campbell gli insegnano a mettere a punto groove e swing.

Dal 1995 al 1998, è Alford a mantenere vivo il groove anche nei pezzi più pop di Bowie. Suona in Earthling (1997) e,
anni dopo, in The Next Day (2013), in una folle sessione in studio di sole due settimane. [5 takes per ciascun brano]
Per Earthling Bowie vuole un sound molto dinamico e aggressivo… quello del cosiddetto industrial drum n’ bass. A Linda Laban dirà queste parole: “a differenza della maggior parte del drum n’ bass, noi non abbiamo utilizzato campionamenti: Zack ha suonato i suoi loop sul rullante, lavorando duro su ritmi e timing. Dopodichè, abbiamo velocizzato il tutto a 160 bpm…”

MATT CHAMBERLAIN METTE IL SUO TOCCO IN HEATHEN
Batterista scrupoloso, mette sempre il suo drumming al servizio della musica. Matt Chamberlain suona in Heathen (2002) e nei brani Bring Me The Disco King e Fly apparsi sull’album Reality (2003).
Dopo il successo con Edie Brickell & New Bohemians, Matt va in tour con i Pearl Jam ed appare nel loro video di Alive. Lascia la band di Seattle raccomandando il suo amico David Abbruzzese. Ironicamente, nel 2014, Chamberlain prende il posto di Matt Cameron nei Soundgarden, mentre Cameron entra nei Pearl Jam.

MARK GUILIANA BLACKSTAR
Bowie scopre Mark Guiliana mentre suona con il Donny McCaslin Quartet al 55 Bar, il noto locale nel Greenwich Village newyorkese. Per il suo 27esimo album in studio, Bowie vuole trovare il mood che lo riporti alle origini. La band che si esibisce al 55 Bar lo incuriosisce parecchio: esplorano certe pieghe del jazz, lontano dai canoni della tradizione. Bowie avverte immediatamente il bisogno di interagire con quel che ha appena ascoltato.

In Blackstar (uscito l’8 gennaio 2016) Guiliana – con i suoi groove hip-hop e le texture del suo suono che, ingannevolmente, paiono dei loop – ispira Bowie a dare ai brani una propulsione ritmica caratterizzante, come mostra in maniera evidente la titletrack. Tony Visconti ha dichiarato a Rolling Stone: “L’obiettivo è stato quello di evitare in tutte le maniere il rock n’ roll!...” Definendo la band: “la migliore con cui io abbia lavorato: “loro sanno entrare in una dimensione e poi andare oltre i suoi confini…”

Con Blackstar David Bowie riesce a realizzare la sua ultima visione musicale, un addio ispirato e profondo; un’opera che il quotidiano di Londra, The Guardian, ha definito con una parola sola: straordinario.

Intelligente, ironico, generoso e coraggioso, quel ragazzino originario di Brixton diventato ormai uomo e celebrità, ancora una volta, ha invitato nella sua visione musicisti grandiosi, affinché suonassero come sanno fare. Loro si sono guadagnati il suo rispetto, e sentiti parte di qualcosa di grande.
Hanno chiesto a Guiliana: “David Bowie era il boss ideale?” - “Penso proprio di sì!”

GAIL ANN DORSEY UNA PROSPETTIVA DA BASSISTA
La scelta dei musicisti da parte di Bowie ha sempre suscitato scalpore... Gail Ann Dorsey, bassista e corista di lunga data, ha dichiarato: “David amava fare musica in un ambiente che eccitasse la sua mente creativa. Gridava di gioia quando Sterling o Zachary tiravano fuori certi fill.Insomma, lui notava sempre l’impegno di ciascuno e lo dimostrava. Il drummer ideale di Bowie ha un senso dell’umorismo molto affilato ed una determinazione e concentrazione verso la musica molto sviluppate. Lo straordinario Dennis Davis, Woody Woodmansey e i due batteristi con cui ho suonato, vale a dire Zachary e Sterling, sono tra i batteristi che ho preferito. Talvolta si trattava di cercare un ago nel pagliaio, perché per loro il groove non aveva compromessi. Musicisti dotati di sensibilità, musicalità e gusto spiccati. Dal canto mio, mi piacciono i batteristi che hanno una grande tecnica sull’hi-hat, perché è ciò che determina il feel ed è dove il bassista ha bisogno di appoggiarsi…”

Testo di Wayne Blanchard
Traduzione di Paolo Pavone

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