THE DARKNESS, Rufus "Tiger" Taylor

Patrizia Marinelli 05 dic 2017
Ha portato nei The Darkness un drumming solido ed incisivo, ma anche una vera e propria ventata di freschezza: ovvero, quello di cui la rock band britannica sembrava aver bisogno per uscire dal torpore. Stiamo parlando di Rufus Taylor, figlio di Roger Taylor, il celebre batterista dei Queen...

Figlio d’arte (suo padre è Roger Taylor, niente di meno che il batterista dei Queen...), Rufus “Tiger” Taylor entra nei The Darkness nel 2015 in sostituzione di Emily Dolan Davies.

Pinewood Smile (Cooking Vinyl) – uscito il 6 ottobre 2017 – è il primo album dei The Darkness che coinvolge Rufus e che, a cominciare dalla produzione a cura di Roy Thomas Baker (lo storico produttore dei Queen e degli Yes), ha tutta l’aria di essere il capitolo della rimonta.
Anticipato dal singolo All The Pretty Girls e seguito da un tour europeo autunnale che ha previsto a novembre alcune date anche nel nostro Paese, Pinewood Smile sta infatti rilanciando la band, riuscita finalmente a togliersi di dosso l’aria pesante che li circondava.

THE DARKNESS... REWIND
Dopo lo straordinario successo dell’album d’esordio - Permission To Land - datato 2003 (che contiene le ...
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info intervista

THE DARKNESS
RUFUS “TIGER” TAYLOR
Pinewood Smile
hit I Believe In A Thing Called Love e Christmas Time (Don’t Let The Bells End) e che vende più di un milione di copie...), le vicende dei fratelli Justin e Daniel Hawkins e della stessa band, si fanno intricate non poco. Un appannamento generale, di cui certo non beneficiano le produzioni discografiche successive: da One Way Ticket To Hell...And Back del 2005 fino al più recente Silver Spoons And Broken Bones...
Con i litigi che portano all’abbandono (o cacciata?) del bassista Frankie Poullain, i cambi di lineup e il forfait di Justin costretto a ricoverarsi per liberarsi dalla dipendenza di droghe ed alcool, la situazione si muove in acque burrascose. Ma, dopo alti e bassi, arriva nel 2011 la reunion e con essa il supporto al Born This Way Ball Tour di Lady Gaga e la pubblicazione dell’album Hot Cakes (2012).
Oggi la rock band britannica pare essere tornata in piena forma e di certo Rufus Taylor ha contribuito a ripristinarne assetto e mood. Il loro nuovo album, Pinewood Smile, testimonia tutto questo appieno...

RUFUS, L’ALTO LIGNAGGIO DEL SUO BACKGROUND
Rufus Taylor (Londra, 8 marzo 1991) – il cui soprannome “Tiger” gli è stato dato alla nascita dall’indimenticabile Freddie Mercury – inizia a suonare da ragazzino sotto l’impulso in arrivo da suo padre e dagli stessi Queen.
La sua prima uscita pubblica dietro la batteria avviene nel 2008 alla Royal Variety Performance di fronte ai reali d’Inghilterra, suonando assieme a Kerry Ellis e Brian May. In seguito, lo stesso chitarrista dei Queen lo vuole con sé per i suoi tour solisti e per quelli dei Queen & Adam Lambert del 2011.

Rufus suona quindi nel tour teatrale di We Will Rock You e, per un certo periodo, si divide tra i live di Queen e The Darkness. Una serie di impegni di grande portata, che però lui pare addossarsi con disinvoltura e una buona dose di grinta, cercando di non farsi pesare troppo addosso gli inevitabili confronti con il più celebre padre.

Oggi per Rufus, The Darkness sono una chance per brillare di luce propria e per conquistarsi la sua buona fetta di fans all’interno della formazione degli scatenati fratelli Hawkins...

The Darkness lineup

Justin Hawkins (lead vocal) – Dan Hawkins (guitar) – Frankie Poullain (bass) – Rufus “Tiger” Taylor (drum)

Ci racconti come sei entrato in contatto con The Darkness e come sei entrato in formazione?
Abbiamo un amico in comune, Pete Melladrome, il quale un giorno mi ha disse che The Darkness stavano cercando un nuovo batterista. Io mi trovavo a Sydney quando Dan [Hawkins] mi ha telefonato: “hey Rufus, qui abbiamo un posto vacante... sul sedile della batteria!” Al che io risposi: “fantastico Dan, l'idea mi piace da matti!” Oltretutto, io sono un fan della band sin dai tempi del loro Permission To Land (2013). Per farla breve, The Darkness avrebbero dovuto fare una press-gig [uno show per la stampa] un paio di giorni dopo, a Londra... Dan mi chiese se ce l'avessi fatta ad imparare le nuove song, prendere un aereo per Londra e suonare con loro a quell'evento. Ascoltai quei pezzi con estrema attenzione per l'intera durata del volo, atterrai alle 6.30 del mattino successivo e andai dritto al loro studio. Fu lì che incontrai i ragazzi della band per la prima volta... Provai con loro per circa un'ora, e poi andammo tutti al locale in cui dovevamo suonare. Per me è stato tutto piuttosto stressante ma di grande soddisfazione: tutti i presenti parvero gradire lo show, incluso il mio drumming. In definitiva, credo sia questo il motivo per cui sono ancora nella band!

I fratelli Hawkins hanno reputazione di essere dei tipi piuttosto selvaggi. Hai mai pensato che questo avrebbe potuto crearti qualche problema?
Al contrario! Ho subito pensato che il loro modo di essere potesse essere un valore aggiunto al tipo di rapporto che si sarebbe istaurato tra di noi. Detto questo...

Recentemente avete supportato i Guns’n’ Roses in tour: quali sono state le reazioni del pubblico verso la tua performance?
Posso dirti che il pubblico che ho incontrato ai concerti dei GNR era a dir poco grandioso. Quella è una audience che capisce davvero come deve essere un rock show... che è proprio il tipo di show che fanno The Darkness. Justin è uno dei migliori frontman che io abbia mai visto e sa perfettamente come tenere in pugno e gestire il pubblico! Quindi, ti assicuro che se all’inizio qualche spettatore fosse stato scettico, alla fine è andato via totalmente convinto di noi. Non parliamo poi del concerto all’autodromo di Imola, da voi in Italia... lì c’erano 130mila persone che cantavano con noi ogni singola parola di ogni singolo brano del nostro set. E’ stato incredibile. Lasciami dire una cosa... grazie Guns’n’ Roses!

The Darkness sono certamente degli ottimi live performers ma, a tuo avviso, che cosa li ha aiutati a divenire famosi in poco tempo?
Io posso solo dire che sono dei grandissimi compositori di canzoni; dei performers brillanti e anche dei buoni amici... così che non hanno paura di pestarsi i calli l’uno con l'altro! Tutto questo rende la vita in tour molto più divertente. Il pubblico deve aver captato tutto questo e attribuito a The Darkness, sin dall'inizio, il successo che meritano.

Che tipo di contributo hai consegnato ai brani di Pinewood Smile?
In realtà si è trattato di uno sforzo collettivo, quindi dell’opera di tutti noi della band sin dal momento in cui abbiamo cominciato in una sala prove di Londra. Dan ed io siamo partiti con delle jam lasciando fluire qualsiasi idea che ci venisse in mente: perlopiù, roba con un mood piuttosto heavy e tempi molto veloci. Per quanto riguarda gli arrangiamenti, li abbiamo creati tutti assieme in un secondo momento e ci siamo riusciti in tempi molto brevi.

C’è stato un brano più ostico da registrare?
Direi Buccaneers of Hispaniola. Ho provato diverse soluzioni prima di arrivare a quella ottimale. E’ un brano che ti affatica parecchio se devi suonarlo e risuonarlo dietro i tamburi. Alla fine delle registrazioni mi si può sentire in un momento in cui ero davvero furioso... un frammento di una delle mie take andate male.

C’è un brano che prediligi della scaletta?
Buccaneers of Hispaniola e Japanese Prisoners of Love. Non riesco a decidermi tra i due poiché mi piacciono allo stesso modo. Ascoltandoli, è come se questi due brani ti dessero un pugno in faccia che però... ti fa sentire bene!

Che genere di equipment ha utilizzato per registrare Pinewood Smile?
La mia DW Collectors nera con pelli Remo, piatti Zildjian e bacchette Vic Firth 5B.

A proposito di pelli, ogni quanto le cambi?
Quando solo a vederle capisco che sono consumate! [ride]

Ricordi il tuo primo drumkit?
Certo... Era stato il regalo per il mio 12esimo compleanno. Un bellissimo baby jazz kit con una tigre disegnata sulla pelle della cassa. Io e quella batteria ci siamo innamorati all'istante l'uno dell’altro... ne abbiamo passate tante insieme!

Quali sono i batteristi che ti hanno influenzato?
Naturalmente quando ero un ragazzino mio padre mi ha influenzato in modo straordinario: lo guardavo suonare da molto vicino e ascoltavo con attenzione tutti brani dei Queen dell'epoca. Fu proprio lui che poi mi fece conoscere Led Zeppelin e The Who, due band che mi hanno segnato in modo incredibile: John Bonham e Keith Moon. A seguire, Mitch Mitchell con Hendrix, Ian Paice con i Deep Purple e poi, soprattutto, Phil Collins. Crescendo ho avuto modo di conoscere Taylor Hawkins e Dave Growl [Foo Fighters] e sono andato a vederli in un sacco di show. In pratica, loro due sono divenuti le mie principali fonti di ispirazione!

A tuo avviso, che cosa accomuna il tuo drumming a quello di tuo padre?
Un sacco di gente dice che il mio drumming sia una via di mezzo tra il suo e quello di Taylor Hawkins ed io concordo. Ad esempio, io sono solito suonare il charleston nel backbeat come fa mio padre e cerco di suonare un sacco di fills come fa lui, seguendo la chitarra. Credo che il miglior suggerimento di mio padre sia stato: suonare sempre per il brano e mai per me stesso... all'insegna del motto “meno è meglio!” Credo invece che dal drumming più hard e veloce fuoriesca in maniera evidente l’influenza di Taylor Hawkins.

Qual è stato il tuo primo fan... a parte tuo padre, naturalmente?
Brian May! Lui ha sempre amato il mio drumming e mi ha offerto la prima chance: suonare con lui in alcuni show a Londra e poi in un paio di tour. E’ stato fantastico suonare per Brian, per la mia prima volta, in un contesto professionale. Non lo dimenticherò mai!

Suonare con Brian May, soprattutto le prime volte, ti creava tensione?
Assolutamente sì, dal momento che sai di essere su un palco prestigioso e che devi fare del tuo meglio per essere considerato un professionista. Devo dire però che la presenza di Brian, con la sua esperienza e il suo modo di fare, stemperava la mia tensione e così, ogni volta, sono riuscito a cavarmela concentrandomi ed impegnandomi al massimo.

A proposito di eventi importanti, hai suonato alla Royal Variety Performance. Che ricordi hai di quella sera?
Ricordo alla perfezione la cena con la band al ristorante accanto alla sala, e ricordo quanto rimanevo di sasso vedendo tutta quella gente che via via entrava inondando la sala. Riguardo al resto, il ricordo nella mia mente si è un po’ sbiadito...

Che cosa osservi di un batterista impegnato a suonare?
Il modo in cui tiene il tempo e il feeling che riesce a trasmettere suonando. E poi mi aspetto che si mantenga in linea con il motto, “meno è meglio!” di cui dicevamo prima.

Generalmente preferisci suonare sul palco o in studio?
Sul palco, perché è lì che senti veramente l’adrenalina che ti scorre nelle vene!

Ti è capitato di suonare con The Darkness e con i Queen in uno stesso periodo: che effetto ti ha fatto ritrovarti coinvolto in un piano di lavoro così intenso?
A un certo punto, destreggiarmi tra i due tour si è rivelato faticoso, ma ti dirò che mi sono goduto ogni singolo istante di ogni singolo show! Del resto, come avrebbe potuto essere diversamente?

di Patrizia Marinelli

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